La senatrice a vita, Liliana Segre (foto LaPresse)

La destra sorda e muta nella trappola Segre

Salvatore Merlo

I mancati applausi in Parlamento a Liliana Segre sono un analfabetismo politico cui solo Berlusconi (e un po’ Meloni) ha rimediato. Meglio offrire le ragioni liberali per cui si è contro a una nuova commissione buona a nulla, ma capace di tutto

Alla fine non solo Silvio Berlusconi ma anche Giorgia Meloni, pur in ritardo, si è accorta che qualcosa non andava, che quei musi duri in Senato e quei mancati applausi dei parlamentari della destra a Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto e monito vivente a una tragedia dell’umanità, un po’ travalicavano il legittimo dissenso politico nei confronti della sua proposta di istituire una commissione parlamentare dai compiti tanto vasti quanto evanescenti per finire invece con l’intrecciarsi diabolicamente, e al di là delle intenzioni, agli insulti e alle stupidaggini del web, alle insensatezze e alle volgarità razziste. “Alla senatrice Segre voglio rinnovare la mia stima. Ma noi siamo contrari all’eccesso di legislazione sui reati di opinione”, ha detto Berlusconi ieri pomeriggio. E Giorgia Meloni: “E’ stato un errore politico della sinistra utilizzare l’idea della commissione per dare vita a uno strumento di censura di idee che loro non condividono quali la difesa dell’identità nazionale e della famiglia naturale. Siamo pronti a rivotare per la commissione, se ci saranno modifiche”. Tutto questo mentre Matteo Salvini invece si perdeva in indistinguibili e disarticolati bofonchiamenti.

 

E insomma per oltre ventiquattro ore, da mercoledì pomeriggio quasi fino alle 20 di ieri sera, quando cioè sono arrivate le parole di Meloni e di Berlusconi, la destra si era consegnata spensieratamente (e forse consapevolmente?) alla trappola dell’equivoco, alla tagliola che sui social ha fatto presto, cavalcata dalla sinistra, ad additare l’intera destra italiana che non votava a favore della commissione Segre come antisemita, razzista e praticamente fascista, se non peggio, quasi nazista.

 

La formula “fascisti”, d’altra parte, fa parte di un povero armamentario buono a fronteggiare qualsiasi evenienza, è storia vecchia. Quando forse il problema è invece che questa è una destra sempre più incapace di sfumature, inadatta alla politica intesa come dialettica, conflitto di idee che vanno sapute maneggiare. E’ infatti incredibile che nessuno dei leader della destra in Parlamento tra mercoledì e giovedì abbia saputo spiegare in italiano, e secondo logica – se non ricorrendo a improbabili e scipiti princìpi di libertà o alla surreale difesa della patria e della famiglia – le buone ragioni, che pure esistono, per le quali una commissione parlamentare che si proponga niente meno che la lotta a “intolleranza” e “razzismo”, “antisemitismo” e “istigazione all’odio”, “cyberbullismo” e “molestie”, “etnocentrismo” e “antislamismo”, risulti talmente vaga e gigantesca, piena di densi e inafferrabili risvolti persino filosofici – cos’è l’odio? – dall’apparire non soltanto moralmente ricattatoria ma probabilmente anche inefficace. Inutile, come sono (e sono state) purtroppo inutili la quasi totalità delle commissioni parlamentari speciali e d’inchiesta dall’inizio della Repubblica a oggi. Com’è noto infatti, le mille commissioni sui mille misteri italiani irrisolti hanno ingarbugliato ancora di più vicende già di per sé nebulose, dal rapimento Moro fino alla strage di Ustica. Mentre le commissioni parlamentari più recenti, come la mitologica Commissione banche, quelle cioè affidate all’attuale classe politica, sono state il miserabile teatro off-Broadway della nostra perenne e molesta campagna elettorale, strumenti buoni al massimo per Instagram e Rocco Casalino.

 

Le definizioni più oscure, vaste, onnicomprensive, sono le migliori. Sembrano estremamente profonde, e molti credono di vedervi cose meravigliose, che non esistono se non nella loro immaginazione. D’altra parte, Fruttero & Lucentini, maestri di cinica morale, dicevano che “se ti vengono a chiedere anche un solo pelo della tua barba per salvare l’umanità non darlo”, precetto che, aggiungevano i due scrittori, lo stolto giudicherà biecamente egoistico, ma che invita innanzitutto a diffidare d’ogni appello e d’ogni richiesta di coinvolgimento in faccende di equivoca, generica vastità, incontrollabili dal singolo. Le nobili intenzioni sono piene di trabocchetti in cui può cadere chiunque. E tutti sanno o dovrebbero sapere che i buoni sentimenti pavimentano la via della perdizione. “Antisemitismo” e “cyberbullismo” non sono la stessa cosa, come il “nazionalismo” non è una “molestia” ma una perversione illiberale. Mischiarli degrada forse l’una e l’altra lotta di civiltà, così come la sinistra che utilizza Liliana Segre per costruire una trappola contro i rozzi leader della destra non compie un gesto di rispetto per la storia di Liliana Segre, ma fa esattamente l’opposto. Un’imperdonabile banalizzazione che riporta tutto alla sua sconfortante misura: la campagna elettorale.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.