Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Il M5s come i Balcani

Valerio Valentini

Le domeniche senza lavoro e l’acqua pubblica sono due pistole scariche. Morra ora riunisce la dissidenza

Roma. La strada del rilancio è un vicolo cieco, per il M5s. Almeno a giudicare dal sentiero additato dal capo politico del Movimento, quel Luigi Di Maio che, nel tentativo di riconquistare un centralità nel dibattito, nel fine settimana ha rispolverato dalla mansarda grillina due antiche battaglie che sembravano ormai accantonate.

 

L’acqua pubblica senza coperture

E invece venerdì scorso, il ministro degli Esteri ha ribadito, col piglio deciso dello statista, che “il M5s vuole affrontare le cose concrete”. E dunque, quasi ignaro della bizzarria dell’accostamento, a riprova del pragmatismo a cinque stelle, ha sentenziato: “Vorremmo sapere se c’è la volontà di portare avanti la legge sull’acqua pubblica”. E chissà se si riferiva ai suoi nuovi alleati del Pd e di Italia viva, Di Maio, o ai suoi stessi parlamentari. Perché, a ben vedere, una proposta di legge sulla riforma del servizio idrico integrato, non c’è. Federica Daga, capogruppo del M5s in commissione Ambiente e paladina dei forum dell’acqua, ne aveva formulata una nel febbraio scorso. E forse è per questo che Di Maio esulta: “Abbiamo già la proposta pronta, a gennaio potrebbe essere la prima legge approvata nel 2020”. Il problema, però, è che quella proposta venne ritirata dallo stesso M5s dopo che, a inizio 2019, i grillini richiesero un parere al Mef, e dalla Ragioneria generale dello stato venne fatto pervenire un resoconto informale che era assai impietoso e che lanciava seri allarmi su un’operazione che avrebbe avuto pesanti ricadute sulla fiscalità generale con “conseguenti ingenti oneri per la finanza pubblica”. Ricevute quelle osservazioni per via ufficiosa, “il M5s non ha più prodotto alcuna nuova proposta”, dice la leghista Elena Lucchini, capogruppo del suo partito in commissione Ambiente. In realtà, Giuseppe Conte aveva pure organizzato dei tavoli di confronto, convocando i parlamentari di maggioranza che seguivano il tema direttamente a Palazzo Chigi, se non altro per accontentare Roberto Fico che su quella crociata h fondato buona parte della sua carriera movimentista. Ma era metà luglio, ormai la crisi di governo incombeva e non se ne fece più nulla. “L’annuncio di Di Maio – conclude la Luccini – è puramente propagandistico”. Ed è anche politicamente controproducente. E non a caso Alessandro Benvenuto, il presidente della commissione Ambiente e pure lui leghista, già se la ride: “Di Maio vuole approvare la legge sull’acqua pubblica? Benissimo. Sono pronto a calendarizzare la proposta di legge Daga, che va nella direzione esattamente opposta a quella dei suoi alleati del Pd”. E a testimoniare di queste profonde divergenze tra i neo alleati ci stanno, non a caso, le dichiarazioni della capogruppo democratica in commissione Ambiente, che già a febbraio liquidava tutta l’operazione del M5s sull’acqua, con tanto di festeggiamenti preventivi di Beppe Grillo, come “una fanfara utile solo per provare a rifarsi un’immagine di verginità ambientale” e che ancora a settembre auspicava “una sintesi tra la nostra proposta e la loro, al riparo da divisioni ideologiche”.

 

Le chiusure domenicali insabbiate

Né sembra essere più agevole il percorso che dovrebbe portare all’altra meta indicata da Di Maio: “Dobbiamo andare avanti come Governo nella tutela delle persone che lavorano, come nel caso delle partite iva e dei lavoratori dipendenti degli esercizi commerciali che, a causa delle liberalizzazioni, sono sprofondati nella giungla degli orari di apertura e chiusura, cercando invano di battere i centri commerciali, rimanendo aperti 12 ore al giorno e 7 giorni su 7”, ha annunciato domenica il capo politico, prima d’imbarcarsi per la Cina. Con ciò cogliendo di sorpresa, per primi, i suoi stessi deputati che, in commissione Attività produttive se ne stanno occupando: e infatti né Rachele Silvestri, né Massimiliano De Toma, hanno nascosto una certa irritazione per il mancato preavviso. Anche in questo caso, però, dopo essere partiti a ritmo di marcia, nella scorsa legislatura, l’entusiasmo scombiccherato del M5s s’è subito arenato nelle secche parlamentari, dove giace ancora una proposta di legge che, dopo varie riformulazioni, proponeva una sintesi tra i disegni di legge grillino e leghista: in sintesi, chiusura obbligatoria per i centri commerciali e gli esercizi di media e grande distribuzione nelle domeniche e nei festivi, con un massimo di trenta deroghe annuali e sanzioni da 10 a 60 mila euro per i trasgressori. Il problema, però, è che ora gli alleati del M5s. “E noi del Pd, quale sia la nostra posizione, lo avevamo chiarito nella scorsa legislatura”, dice Gianluca Benamati, vice presidente della commissione, riferendosi alla liberalizzazione sulle aperture domenicali approvata dal governo Monti. “Si aprirà un tavolo di confronto, ora. Ma noi di certo non possiamo sposare il testo del M5s così com’è”, prosegue Benamati. “In una fase di economia stagnante, dobbiamo eviate di fare dei danni”.

 

 

La riunione di Morra

E che in fondo questi slanci d’iniziativa di Di Maio siano più che altro funzionali a ridare al M5s una fisionomia politica ormai sbiadita, lo conferma anche il senatore grillino Nicola Morra. Il quale, ieri pomeriggio, ha inviato una mail ai parlamentari del suo partito per invitarli a “un incontro”, mercoledì sera a Palazzo San Macuto, che funga da “momento di riflessione collettiva e condivisa sul momento storico/politico che stiamo vivendo ed affrontando”. “Vorrei confrontarmi con voi in maniera costruttiva – conclude Morra – sulla nostra identità”.

Di più su questi argomenti: