“Nel centrosinistra, ma non nel Pd”. Il “nuovo” M5s secondo Brescia
"La riscoperta di certi nostri valori fondativi ci porta naturalmente nel solco del progressismo", dice il deputato grillino
Roma. La chiacchierata, come d’accordo, è sulle prospettive future. “Ma immagino che si debba partire dall’attualità”, sorride Giuseppe Brescia, mostrandosi serenamente rassegnato alle esigenze della cronaca. “E allora diciamolo subito – si concede il deputato grillino – che sì, non avere ceduto al ricatto di un’impresa privata, sullo scudo fiscale, per il M5s è un successo da rivendicare”. D’altronde in Aula impazza già la polemica su Ilva, e il presidente della commissione Affari costituzionali, esponente di prima linea del M5s, non può esimersi dal dire la sua, tanto più che è pugliese. “Quell’acciaieria è la più inquinante d’Europa. E’ uno stabilimento anacronistico e antistorico, che non può essere difeso così com’è”. E che però vale il 12 per cento del pil della Puglia. “Certo. Ma da qui al 2050 il 50 per cento dei lavori svolti sarà di tipo creativo e intellettuale: puntiamo sulla formazione e sulla ricerca. Anche perché – eccola, la prospettiva – l’ambientalismo può essere uno dei temi su cui rivitalizzare il M5s”.
Meno di dieci anni di vita, dunque, e già si ragiona di una rifondazione? “C’è smarrimento, nel M5s”, ammette Brescia. “C’è bisogno di rinnovarsi, di ritrovare nuove prospettive, anche perché non si può non riconoscere che molte delle nostre battaglie storiche, dal reddito di cittadinanza alla legge anticorruzione e al taglio dei parlamentari, le abbiamo già vinte”. E dunque, che fare? “Partire col dire che il M5s è il solo vero movimento ambientalista italiano, che coglie il momento storico in cui proprio la lotta ecologista è in cima alle preoccupazioni dei cittadini di mezzo mondo”. Per cui, la plastic tax... “Certo, va difesa senza alcuna esitazione. E al contempo incentivando le produzioni più ecosostenibili”.
Parla con trasporto, Brescia, nel suo studio al quarto piano di Montecitorio. Parla quasi come un esponente del Pd. “Noi siamo post ideologici”, ribatte lui, subito facendosi serio di fronte alla provocazione. “E ad esempio, sulla democrazia diretta, rispetto al Pd ci sono delle distanze, anche se loro adesso provano a scopiazzarci un po’. Detto questo, non mi sottraggo: è evidente che la riscoperta di certi nostri valori fondativi ci porta naturalmente nel solco del progressismo. Il futuro del M5s lo vedo nel campo del centrosinistra, dopo un anno e mezzo passato a dover sostenere dei provvedimenti voluti dalla Lega che ci hanno posto spesso in contrasto col dettato costituzionale. Non deve più accadere”. Eppure non sembra che Luigi Di Maio abbia fretta di correggere i decreti sicurezza. “Capisco che ora si voglia rafforzare il nuovo governo, non rendendolo ostile all’umore generale del paese, che è quello che è. Ma superata questa fase di assestamento, il M5s deve farsi promotore di istanze irrinunciabili: dallo ius culturae, al fine vita, ala liberalizzazione delle droghe leggere”. L’agenda del nuovo centrosinistra, appunto. “Un centrosinistra in cui, in ogni caso, M5s e Pd devono mantenere ciascuno il proprio contenitore”. In un’ottica proporzionale, quindi. “Assolutamente sì. E io credo che una nuova legge elettorale in tal senso andrebbe anche rafforzata, prevedendo ad esempio che, per modificarla, ci fosse bisogno in futuro di maggioranza qualificate”. Alcuni vostri esponenti invocano la “biodegradabilità” del M5s, secondo il vecchio adagio di Beppe Grillo. “Nessuno deve sentirsi indispensabile: né il M5s nel suo complesso, né i suoi attuali dirigenti. Ma non credo che, proprio sui temi dell’ambientalismo e della democrazia diretta abbiamo ancora esaurito la nostra missione”. E sulle regionali: allearsi oppure no, col Pd? “Ascoltiamo i territori, capiamo se nelle varie realtà una convergenza sia possibile. Nella mia Puglia, dove si vota nel 2020, con Emiliano non è pensabile. Né in Calabria con Oliverio, né in Campania con De Luca. Se poi il Pd scegliesse di rinnovarsi anche al Sud, rimuovendo certa gente dalle sue liste, se ne riparlerà”.
Di Maio, ministro degli Esteri e capo politico, ricopre troppi incarichi? “Eravamo il movimento senza leader, ora siamo quello che vede la maggiore concentrazione di responsabilità in capo a una singola persona. Il problema non è Luigi, è il metodo. Credo serva un gruppo dirigente ampio ed eletto, che riceva la sua legittimazione dagli attivisti sui territori”. Intanto si parla di scissioni, nel gruppo. “C’è del disorientamento, è vero. Ma le battaglie per rinnovare il M5s si fanno stando dentro il M5s. Chi pensa di uscire, pensa molto male”.