Con il grillismo non ci si può sposare
Il disastro Ilva non è solo un dramma industriale ma è anche una micidiale lezione offerta ai genietti che teorizzano da anni la necessaria convergenza strategica tra Pd e M5s. Perché il grillismo può essere inoffensivo solo quando rottama se stesso
In uno sconsolato ma rivelatore editoriale pubblicato ieri sul Messaggero, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, commentando il disastro del caso Ilva, è arrivato a dire, con saggezza, che una maggioranza di governo che fa di tutto per mettere in fuga gli investitori stranieri non fa altro che aumentare la diffidenza nei confronti del nostro paese. “Nessuno – ha scritto Prodi – si fida più di noi: la nostra politica industriale, abbandonati i positivi disegni del 4.0, si riduce a cercare di salvare, senza però applicarvi le necessarie cure, un giorno l’Alitalia e, il giorno dopo, la Whirlpool o l’Ilva. Auguriamoci che si faccia ogni sforzo per arrivare a un accordo fra il governo e ArcelorMittal, ben sapendo che, se non cambiamo pelle, a nessuno verrà mai più in mente che l’Ilva di Taranto possa di nuovo essere considerato il migliore impianto siderurgico d’Europa”. Le parole di Prodi hanno una loro rilevanza diretta per quanto riguarda la traiettoria industriale imboccata dal nostro paese ma hanno anche una loro rilevanza indiretta per quanto riguarda la traiettoria politica imboccata dalla maggioranza di governo. Prodi non lo dice esplicitamente ma la condanna senza appello dell’approccio suicida scelto da Pd e M5s sul caso Ilva è la certificazione di un fatto difficile da ammettere per tutti coloro che da anni, da Massimo Cacciari a Repubblica fino allo stesso Romano Prodi, teorizzano con sfumature diverse la necessaria convergenza strategica tra il Pd e il M5s.
Prodi non potrà mai metterla giù così, ma la verità è che molti di coloro che hanno sostenuto che il futuro inevitabile del Pd fosse quello del matrimonio con il M5s di fronte al disastro Ilva non possono non riconoscere una verità difficile da negare: il grillismo al governo può essere inoffensivo solo quando il grillismo di governo riesce a rottamare se stesso. E quando il grillismo non riesce a rottamare se stesso chiunque si trovi a scendere a compromessi non farà altro che danneggiare l’economia dell’Italia. E’ stato per questo che tre mesi fa, ad agosto, la Lega di Matteo Salvini è stata costretta a votare in Parlamento una mozione per non interrompere i lavori sulla Tav con lo stesso partito che pochi giorni dopo l’avrebbe portata fuori dal governo, ovvero con il Pd. Ed è sempre per questo che oggi sia il partito di Nicola Zingaretti sia quello di Matteo Renzi si dicono pronti a votare ancora una volta con la Lega un qualsiasi emendamento che permetta la reintroduzione di una nuova forma di scudo penale per evitare che chiunque voglia investire sull’Ilva possa diventare una facile preda di procure egemonizzate dai nuovi giacobini dell’ecologia. Da questi episodi si potrebbe pigramente desumere che quando si parla di infrastrutture e politica industriale la maggioranza naturale per non bloccare il paese dovrebbe essere quella formata più dalla Lega e dal Pd che dal Pd e dal M5s.
Ma il punto interessante non è questo. Il vero punto interessante è completare il ragionamento fatto da Prodi provando a essere consequenziali con il suo pensiero sul caso Ilva. E la questione è semplice: con i grillini si può provare a galleggiare a tempo determinato condividendo per uno spazio temporale limitato un programma di governo ma non si può in nessun modo provare a immaginare un’alleanza strutturata a tempo non determinato per la semplice ragione che ogni concessione fatta al grillismo è come una ferita che si apre nel tessuto produttivo del nostro paese. Per combattere la decrescita, dare un futuro all’industria, non far scappare gli investitori, attrarre capitali, non è sufficiente prendere a sberle la demagogia antieuropeista della Lega ma è necessario prendere a sberle l’ideologia anti industriale veicolata dal Movimento 5 stelle ed è evidente che un partito come il Pd è nelle condizioni di non rimanere ostaggio del grillismo solo a una condizione: non aver paura di quelle che possono essere le ripercussioni sul lungo termine di un incrocio senza alcun amore tra due culture politiche differenti. Più il Pd tenderà a considerare il patto con il M5s come un patto strutturale da far valere anche fuori dal perimetro del governo del galleggiamento, e più per il Pd sarà difficile riuscire a far valere le sue ragioni. Viceversa, più il Pd riuscirà a trattare il M5s come un temporaneo compagno di viaggio utile solo per evitare di regalare pieni poteri al salvinismo e più il Pd avrà la capacità di far valere le sue ragioni e di non trasformare il nostro paese nella nuova barzelletta d’Europa.
La maggioranza Pd-M5s resta una maggioranza sbagliata che ha il semplice compito di portare avanti non importa con quale premier un’impresa giusta: non essere una minaccia per la moneta unica, non essere alleato di paesi che sognano di distruggere l’Europa, ridare all’Italia una politica estera non ostaggio degli amici di Maduro, a costruire all’interno di questo Parlamento un patto per avere un successore di Mattarella capace di sentirsi a casa più a Bruxelles che a Mosca. Il Pd dovrebbe occuparsi di questo e solo di questo: non minacciare di tornare a votare ma imparare a governare sapendo che trasformarsi nella sesta stella del grillismo è solo una scelta e non una necessità.