Peppe Provenzano, ministro per il Sud contro la perla del Nord
All’estrema sinistra del Pd, già antirenziano, ecologista e convinto che la Milano di Sala “non restituisca quello che attrae”
Roma. Succede che il ministro per il Sud, Peppe Provenzano, esponente pd del governo Conte bis, giunto in quel di Milano, dica al sindaco pd Beppe Sala cose che provocano un immediato scontro dialettico con il primo cittadino della capitale del Nord, in questo momento calamita di plauso trasversale: “Milano attrae ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae”, è dunque la frase-schiaffo di Provenzano, ospite di un dibattito organizzato dall’Huffington Post sul tema “il Meridione visto da nord”, in cui evidentemente si esprime sul Nord visto da Sud. E Sala a quel punto risponde senza porgere l’altra guancia: “A oggi è vero che Milano sta un po’ fagocitando tutta la crescita che il nostro Paese potrebbe meritare. Ma, se mi chiedete da sindaco di Milano se è giusto, dico di no. Mettendosi nei panni delle imprese straniere, qui si sentono rassicurate perché sanno che il sistema funziona”. Ma il punto è un altro. Ecco che improvvisamente la figura del ministro criticante, non centralissima nei primi due mesi di governo Conte bis, emerge dalla penombra. Ed ecco che, sui social e fuori dai social, si diffonde la percezione della sua presenza, prima notata soprattutto nei luoghi dove Provenzano si reca in nome dei lavoratori meridionali (ultimo ma non ultimo, uno dei “ghetti del Foggiano”).
Trentasettenne e già vicedirettore della Svimez, il ministro ha indicato infatti, come sua priorità, dopo l’insediamento, “il mezzo milione di giovani che hanno lasciato il Mezzogiorno”, giovani del Sud che “devono avere l’opportunità di andare via, ma anche di ritornare”. E quando al governo c’erano non i rossogialli ma i gialloverdi, Provenzano si preoccupava per “la frenata” che “l’economia meridionale, e soprattutto la sua società, non possono davvero permettersi” e per la riluttanza dei “decisori politici” nel favorire “gli investimenti pubblici, soprattutto in infrastrutture, ricerca e innovazione, leve indispensabili per attivare quelli privati”. E insomma faceva prove generali di ministero il non ancora ministro, membro però della Direzione nazionale pd, area orlandiana (di Andrea Orlando Provenzano è stato anche consulente, al ministero dell’Ambiente), ed esponente di minoranza che aveva rifiutato la candidatura alle elezioni politiche del 2018 perché messo in lista, in Sicilia, dopo la deputata uscente Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Salvatore Cardinale (motivazione: “Non credevo che, nel 2018, al Sud ci si dovesse impegnare ancora per l’abolizione dell’ereditarietà delle cariche pubbliche, principio sancito ormai secoli fa”). E poi, lungo l’anno e mezzo di governo Lega-M5s, il futuro ministro Provenzano – anche autore, con Luca Bianchi, di “Ma il cielo è sempre più su? L’emigrazione meridionale ai tempi di Termini Imerese. Proposte di riscatto per una generazione sotto sequestro” (ed.Castelvecchi) – dedicava un libro molto antirenziano (“La sinistra e la scintilla”) al suo mentore Emanuele Macaluso, non soltanto in virtù della comune e natìa Caltanissetta. (L’altro suo mentore, oltre a Orlando, è Gianni Cuperlo, con cui il ministro mantiene un rapporto di stima).
Per Provenzano la sinistra, come ha detto un giorno a Vittorio Zincone su Sette del Corriere, è “lo spirito di contraddizione di fronte a qualcosa che non va”, e chissà se è con quello spirito di contraddizione che si è scagliato contro Milano. Ma è anche, la sinistra, “l’alternativa a un modello di sviluppo che non solo rischia di compromettere la sorte del pianeta, ma che sta generando risentimento sociale e infelicità”. Dire che è paladino del Green New deal è dunque poco, come poco è dire che, a monte, era nemico del Jobs Act.