È tempo di riscoprire quel cattolicesimo politico che teneva unita la Dc
Non sono mai esistiti democristiani buoni e cattivi: esisteva un partito plurale, che andava oltre la cosiddetta “sinistra di base”
In questi giorni, amici carissimi della Democrazia cristiana, con alcuni dei quali abbiamo anche condiviso anni di governo, hanno ricordato Benigno Zaccagnini in quel di Ravenna e anche con alcune autorevoli interviste. In questo ricordo giustamente elogiativo, cui non possiamo non associarci, c’è qualcosa però che non ci convince. Una tradizione popolare che si limita a ricordare, oltre alle icone di Sturzo e di De Gasperi, solo Moro (il vero segretario politico del tempo) e Zaccagnini è un cedimento alla vulgata corrente piuttosto volgare che ha sempre tentato di distinguere tra i democristiani i buoni e i cattivi. Nel ricordo di questi giorni di Benigno Zaccagnini spira infatti un’aria omissiva che ha spesso caratterizzato la vita della sinistra di base, una delle correnti fondamentali della storia culturale e politica della Dc. Quel che però molti di quegli amici democristiani spesso dimenticano è che nessuno dei grandi leader del nostro partito avrebbe potuto fare da solo quella storia gloriosa della Democrazia cristiana che ha ricostruito il paese e ha difeso la democrazia liberale contro ogni forma di terrorismo e contro ogni cultura dirigistica imbevuta di un egualitarismo ideologico fonte, a sua volta, di autoritarismo e di miseria. Noi abbiamo una idea diversa da questi amici, alcuni dei quali autorevolissimi.
Ogni qualvolta ci capita di parlare di uno dei leader della Dc li ricordiamo tutti, perché tutti concorrevano a quella cultura e a quella politica. Davvero è possibile ricordare il caro Aldo Moro o il mite Zaccagnini senza ricordare nel contempo Fanfani, Gonella, Andreotti, Forlani, Spataro, Rumor, Pastore, Donat Cattin e tantissimi altri? Questo dimenticare la storia complessiva della Dc quando si elogia qualcuno non solo è un errore storico ma lascia spazi a sospetti che vanno subito ricacciati indietro. Gli amici di quella che fu la sinistra di base, infatti, piuttosto che tentare un processo di ricomposizione per rilanciare quella cultura del popolarismo – che, come dice Ciriaco De Mita, è l’unica cultura che non si è usurata – nel tempo stanno inseguendo da 25 anni gli ex comunisti nel tentativo di trovare la famosa terza via che non c’è. E in questo sprovveduto rincorrere hanno smarrito ogni traccia della propria cultura così come, a loro volta, l’hanno smarrita gli ex comunisti che non ebbero all’epoca il coraggio di lavorare per l’Unità socialista e, come confidò ad alcuni di noi Gerardo Chiaromonte, tentarono la scorciatoia dell’opzione giudiziaria per giungere al governo creando il disastro dell’intero paese.
Ci siamo spesso domandati il perché di questo errore di amici autorevoli e, pur non trovando risposta, non abbiamo mai pensato che una parte di quella sinistra Dc avesse accettato ciò che noi respingemmo con garbo scherzoso da Carlo De Benedetti, quando ci venne a proporre di far parte di un disegno politico capace di sovvertire l’assetto politico del paese. Non l’abbiamo mai pensato, anche se i comportamenti di tanti potevano essere letti con verosimile malizia. La nostra di oggi non è una disputa di un congresso antico fuori tempo e fuori luogo ma è figlia dello sgomento attuale per un paese che sta andando alla deriva, senza bussola e senza visione, privato com’è di quelle culture che ancora oggi, pur con affanno, reggono l’Europa e la gran parte degli stati membri. E allora vorremmo chiedere ai tanti figli di Zac (anche noi lo fummo perché nel 1976 eravamo tra i giovani eletti in Parlamento con grande consenso di voti): davvero la storia della Dc è tutta racchiusa in quella del cosiddetto cattolicesimo democratico (alias sinistra di base) lasciando da parte il cattolicesimo liberale e quello sociale interpretato da Pastore e da Donat Cattin? Noi eravamo davvero un partito plurale, perché tanti erano nel nostro pantheon (Rosmini, Murri, Sturzo, Maritain, Leone XIII con la sua Rerum novarum e tanti altri ancora) e tante erano le sensibilità diverse nel partito, ma tutte incardinate nel cattolicesimo politico e non un potpourri di residui culturali pieni di muffa e di grigiori, come oggi purtroppo appare il Pd. Il nostro comune passato ci impedisce di essere poco seri e, se l’invenzione dell’Ulivo di Romano Prodi (cui Helmut Kohl chiese invano di riorganizzare i democratici cristiani) fu una scelta giusta, tutti sapevano che quella era una intelligente formula di governo, non un partito con tutto quel che caratterizza i partiti sotto tutte le latitudini. Da separati siamo tutti diventati nani politici e – quel che conta di più – abbiamo lasciato il paese che amiamo senza guida e senza ideali, per giunta oppresso da 25 anni di mancata crescita e da iniezioni di veleno che stanno frantumando la coesione dell’intera società. Un tempo ultimo forse esiste ancora, e mai come oggi ai Franceschini, ai Delrio, ai Guerini, ai Rosato e ai tantissimi Dc in Parlamento spetta un sussulto non solo di orgoglio, ma di saggezza politica. Domani sarà troppo tardi!