La svolta a sinistra di Zingaretti agita ex renziani e grillini
L’auto-trappola da Willy il coyote sembra il sintomo di uno stato confusionale
Roma. La metafora più esatta, malgré soi, l’ha fornita proprio Gianni Cuperlo, l’ideatore della convention bolognese del Pd. La metafora, cioè, di Willy il coyote, quello che lungamente elabora la trappola per incastrare il nemico e poi ci finisce incastrato lui. Solo che l’ex presidente dem la usava per raccontare l’harakiri agostano di Matteo Salvini; e invece risulta azzeccatissima, ora, anche per descrivere il tentato agguato di Nicola Zingaretti al M5s. E non tanto per la questione più discussa. “Lo ius soli? Io c’ero al tavolo dove si è scritto l’accordo di governo”, dice il grillino Francesco D’Uva. “E di ius soli non si è mai parlato”, taglia corto. “In commissione Affari costituzionali”, dice il deputato Giuseppe Brescia, che della commissione è presidente, “abbiamo ancora da affrontare la legge sul conflitto d’interessi, e poi le audizioni del ministro Lamorgese, e poi lo scioglimento dei comuni per mafia”, dice il grillino barese, che pure è uno dei più spostati a sinistra.
E che si tratti di un’uscita improvvida, lo afferma perfino Stefano Bonaccini, costretto a metterci una pezza e a ribadire che no, “lo ius soli non è la priorità, adesso”. Provocando il divertimento dei renziani: “E’ sempre la solita storia”, sorride Roberto Giachetti. “Se le proposte le avanziamo noi, è perché vogliamo far cadere il governo. Se invece lo fa il Pd, tutto bene. Salvo il fatto che poi sono loro stessi a smentirsi, dallo ius soli alla plastic tax”. E però, se così intempestiva è stata l’uscita di Zingaretti, è evidentemente perché, nel fine settimana bolognese, il segretario del Pd le ha sentite, eccome, le strattonate che arrivavano da sinistra. E, su tutte, quella di Andrea Orlando: che non solo dal palco ha invocato l’archiviazione della terza via, ma nei conciliaboli riservati è pure andato oltre, spiegando che “a questo partito bisogna ridare un’identità”, e arrivando a rivalutare “le bandiere rosse”, che “fanno parte della nostra storia”. Insomma: “Rifondazione della sinistra”. E non a caso, in quelle stesse ore ma 400 chilometri più a sud, Roberto Speranza, parlando alla platea dei compagni di Articolo1 convocati a Roma faceva capire di aver capito: “Zingaretti parla giustamente di una vera e propria rifondazione. Mi sembra la strada giusta”. Rosse corrispondenze di sinistri sensi: mentre Orlando invitava a “cambiare la forma del capitalismo”, Speranza esortava a “ripensare il capitalismo”. Al che pure Pippo Civati, interpellato, se la ride: “Praticamente il Pd entra in Possibile”.
E qui sta il punto. Nella tentazione di spostare a sinistra il baricentro del partito. Ma qui sta anche “l’inganno”, come lo definisce Giorgio Trizzino, capo dell’autoproclamatasi “corrente dei competenti” del M5s. “A che gioco gioca, Orlando? Se va avanti per strappi, mette in difficoltà anche noi, che nel M5s lavoriamo per rendere organica l’alleanza. Non può illudersi di usarci come teste d’ariete per abbattere Di Maio”. Carlo Sibilia la mette giù ancora più brutale. “Sono kafkiani, autolesionisti. Orlando e Zingaretti vogliono ricostruire la sinistra? Va bene – dice il sottosegretario all’Interno – ma così aprono praterie a Renzi”. Che è poi la stessa preoccupazione che nutrono, nel Pd, gli esponenti di Base Riformista, che a fine novembre si vedranno a Milano per pianificare quella che i fedelissimi di Lorenzo Guerini chiamano già una “controffensiva”. Programma chiaro: “Riportare il Pd a fare i Ds non è ciò che vogliamo. E se servirà ribadirlo in un congresso vero e proprio, a primavera prossima, lo faremo”.
E insomma l’auto-trappola da Willy il coyote sembra il sintomo di uno stato confusionale. “Che senso ha per il Pd polarizzarsi così a sinistra, mentre si sta tornando al proporzionale?” sbuffa Sibilia, alla viglia di una riunione di maggioranza, quella di stasera, che vedrà un’ulteriore accelerazione sulla riforma elettorale. Giancarlo Giorgetti, dal canto suo, prova a intrufolarsi. E così si prende da parte Orlando, in Transatlantico: “Siamo rimasti solo noi e voi”, Pd e Lega, in questa che è “una crisi di sistema da cui non si esce certo con le ammucchiate di Palazzo”, dice il leghista, provando a fomentare le voglie residuali di maggioritario nel Pd. E forse si capisce anche perché Giuseppe Conte, in mezzo a questa cagnara, sabato sera abbia cercato rifugio nella quiete dei boschi dei monti Cimini, nel ristorante “La faggeta”. A tavola con lui, un consigliere d’eccezione: Marco Travaglio.