Matteo Salvini (foto LaPresse)

Destra vince, Pd tace

Umberto Minopoli

L’incapacità di capire perché Salvini erode consenso a sinistra è il vero male. Incurabile?

Il Pd ha capito cosa è successo al Centro-nord? Da ormai dieci anni, per una sorta di rimozione e miopia ideologica, la sinistra si interroga ossessivamente sui voti persi verso il populismo di sinistra, verso il M5s. Ma nessuna domanda sul voto alla destra. Niente che assomigli, ad esempio, alla riflessione dei primi anni ’90, a sinistra, sulla questione settentrionale e i successi della prima Lega (poi sfociati nel berlusconismo). Eppure c’è una differenza abissale tra il voto ai grillini e quello che è diventato il consenso alla Lega.

 

Il voto al M5s si è rivelato mobile, emotivo, transeunte. Si tratta di un voto “opportunistico” (nel senso di episodico), poco radicato. In pochi mesi si è sbriciolato. E rifluito, in gran parte, a destra. Il voto alla destra, invece, ha caratteristiche di forte stabilità: la Lega è decollata in soli 5 anni ma, in realtà, raccoglie il testimone, da Roma in su, di 20 anni di successi del centrodestra. Salvini ha solo ereditato il consenso berlusconiano. La sconfitta della sinistra, in metà del paese, ha il sapore di uno sradicamento. Forse il Pd non perderà in Emilia. Ma se si illude che questo significhi una svolta fa un errore tragico.

 

La ricerca del Cattaneo sull’Emilia, pubblicata dal Corsera domenica, mostra una geografia impressionante: il voto di Bologna e di pochi grandi centri emiliani è sommerso dal voto verde leghista. Un “modello Brexit” è stato detto: il consenso della sinistra divenuto, ormai, “insulare” anche nelle casematte, arroccato nelle conurbazioni circondate da un, omogeneo e ininterrotto, avanzare della destra. E lo stesso vale, ormai, per tutte le regioni del Centro-nord. Eppure, nel dibattito politico a sinistra non c’è traccia di questo dato impressionante. Il confronto tra le diverse anime della sinistra resta impaludato su dettagli secondari: la natura dei Cinque stelle, l’esistenza o meno di un centro, le alleanze a sinistra. Le ragioni del defluvio a destra sono del tutto rimosse. La rimozione è operata trasformando la destra in tabù, stendendo su di essa un velo ideologico: la destra è intrattabile perché separata da una barriera ideologica, di valori, politicamente indicibile.

 

Verso Salvini esiste una barriera che, unanimemente a sinistra, opera come conventio ad escludere. E’ così che lo sfarinamento dell’elettorato della sinistra al Centro-nord (ma con segni di estensione nazionale) resta inspiegato. E su di esso viene abbassata una coltre di ombra. La sinistra ha rinunciato ad ogni volontà di competizione con quel voto. Lo da’ per perso. Spera che esso si incrini attraverso due strade che si stanno rivelando, entrambe, velleitarie: l’esclusione dal governo (“non si vota finché non si sgonfia il pericolo che Salvini vinca”) e la opposizione ideologica (“abbiamo la destra peggiore e più eversiva d’Europa”). Due motivi che si stanno rivelando un boomerang. La sinistra ha mostrificato l’avversario, si impedisce di capire le ragioni vere della sua forza e si preclude, in tal modo, la competitività col suo voto. Sembra più facile (anche se poco utile elettoralmente) alla sinistra “romanizzare i barbari”, i Cinque stelle, che scalfire il voto a destra: un blocco dato, implicitamente, per perso e ghiacciato nella sua impenetrabilità ideologica, di valori.

 

Un muro che sta arrivando al 50 per cento dell’elettorato è giudicato, ormai, impenetrabile. Da incrinare, si spera, solo con la pregiudiziale culturale, di valori e verso cui opporre il dettato ciellenista: tutti contro Salvini. Servirebbe, a sinistra, qualcuno che incitasse ad aprire gli occhi, a rompere questo schema che attorciglia la sinistra e perpetua la sconfitta. Ma nell’opinione, tra gli intellettuali, tra i leader della sinistra (tutti) il coraggio non si trova: il comodo schema della destra fascista ed eversiva (“vuole i pieni poteri”), ormai, prevale. Con le rimozioni che ne conseguono.

 

Nessuno che trovi la forza di sfatare il mito paralizzante che strozza la sinistra: la comicità, l’inconsistenza, la non plausibilità di un disegno golpista attribuito a una forza elettorale che raccoglie quasi metà del paese. Probabilmente, nelle difficili condizioni italiane, un governo di Salvini mostrerebbe solo l’incapacità, la debolezza, l’inconsistenza delle ricette della destra. Quel governo, probabilmente, si sfarinerebbe. Come accade, ormai, per tutti in questa difficilissima condizione italiana. Dove forse è vero il contrario: destra e sinistra non trovano la chiave per governare in una forma bipolare. E occorrerebbe, coraggiosamente, pensare a schemi diversi per dare all’Italia un governo stabile. Almeno per una fase. A sinistra occorrerebbe il coraggio di chiudere la “guerra civile a parole”, di aprire al disarmo reciproco e ad una competizione con la destra basata, finalmente, sulle politiche e non sui valori. Per questo andrebbe salutata come una svolta l’ipotesi di un tavolo comune sulle regole. Strano che si invochi la solidarietà nazionale sull’Ilva, ma non sulle regole della competizione. Però c’è un punto chiave, dettato dall’esperienza italiana: non si riesce, in Italia, a cambiare insieme le regole, facendosi la guerra frontale su tutto il resto. In un clima e con un linguaggio di guerra civile a parole. La sinistra, che è oggi quella elettoralmente in crisi, dovrebbe coraggiosamente aprirsi a uno sforzo di comprensione sui temi che calamitano.

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