La svolta per il Pd. Parla Gori
Per il sindaco di Bergamo “il partito non può più essere piegato su posizioni novecentesche. E serve un congresso che non eluda nessuna delle questioni che riguardano il presente e il futuro dei Democratici”
Roma. Stavolta se l’è assunto lui, il ruolo di evitare che il Pd scivoli troppo a sinistra. “Ma no, non la metterei giù così brutale”. C’è un po’ di esibita modestia, nell’understatement di Giorgio Gori. Eppure è stato il suo, quello del sindaco di Bergamo, il discorso più significativo tra i non molti che sono andati contromano, nella convention bolognese del fine settimana. “Si è parlato molto di giustizia sociale e lotta alle disuguaglianze: obiettivi imprescindibili, per il Pd”. Però? “Però quando si indica un obiettivo, bisogna spiegare anche come si intende perseguirlo: ma qui, ora, nell’Italia degli anni Venti. Ed è su questo che è mancata la riflessione. Si è discusso tanto di identità, ma poco di azione politico”.
Riprendersi i ceti produttivi
Lo ius soli, appunto. “E’ davvero da qui, che si deve ripartire? Io, sia chiaro, sono del tutto favorevole allo ius culturae. Ma questo è il partito della vocazione maggioritaria: e se per rilanciare la nostra azione, per prima cosa proponiamo lo ius soli, diamo l’immagine di un partito che non parla al paese, ma solo alla sua comunità, che è peraltro abbastanza ristretta, ormai”. Il partito dei pensionati e dei dipendenti pubblici, lo ha definito. “L’ho detto senza alcun intento offensivo, ma basandomi sui dati elettorali. E l’ho detto per ricordare che nella nostra constituency mancano i ceti produttivi, quelli che oggi votano in gran parte la Lega al nord, e il M5s al sud”. Quelli su cui ha messo gli occhi Matteo Renzi. “E noi rischiamo di aprire delle praterie a Italia viva. La sua scommessa Renzi l’ha dichiarata: fare col Pd ciò che Macron ha fatto col Partito socialista francese. Ora, al di là dell’opportunità dei paragoni, è evidente che Macron ha sfruttato il ripiegamento del Ps su posizioni novecentesche. E qualche segnale di un simile ritorno al passato, a tentazioni del secolo scorso, io a Bologna l’ho visto”.
Non rinnegare il renzismo
Andrea Orlando l’ha detto chiaramente: bisogna archiviare la terza via, “cambiare la forma del capitalismo”. “A volte ho come l’impressione che nel Pd ci sia una concezione sbagliata di cos’è l’impresa, oggi, in Italia. In tanti hanno ancora una visione dell’imprenditore come del ricco aristocratico che gira in barca, del milionario glamour à la Brunello Cucinelli. E invece il tessuto produttivo italiano è fatto per lo più di ex operai che sono diventati piccoli imprenditori. Nel Pd c’è la voglia di andare oltre la ‘stagione renziana’, che a mio avviso però ha prodotto dei risultati ottimi, benché non sempre sfruttati al meglio. Si è, in particolare, sopravvalutata la forza di certi indicatori economici positivi e si è perso contatto dalla sofferenza reale di tante persone. E però, da qui a tornare a cosa eravamo prima di Renzi, ce ne passa”.
Ma farlo, forse, serve anche a riconnettersi con chi sta a sinistra del Pd. “A sinistra del Pd c’è ben poco elettorato da recuperare, senza contare peraltro che chi occupa quel campo non è specializzato nel dividersi. Credo invece che ci sia molto terreno da recuperare dall’altro lato, visto che in molte parti del paese il centrodestra vanta il 50 per cento dei consensi. Questo, ad esempio, mi sorprende: che nel Pd, oggi, si ragioni molto su come comprendere e recuperare l’elettorato grillino, illudendosi che il M5s sia un partito di sinistra, mentre si è del tutto rimosso il problema di un voto popolare che è andato progressivamente verso Salvini, e che non possiamo certo liquidare come un voto fascista”. Idee su come riconquistarlo? “Ad esempio puntando sulla crescita. Destinare investimenti pubblici e privati verso l’innovazione e la ricerca, così da creare spazio di manovra per il governo. Che non lo si può ricercare sempre nel deficit allegro, né in presunte tasse pedagogiche, come quelle su zucchero e plastica, che in realtà servono solo a fare cassa”.
La battaglia per il doppio turno
Vocazione maggioritaria, dicevamo. Ma si va verso il proporzionale. “La vocazione maggioritaria, che è poi è quella che inevitabilmente persegue un sindaco, significa innanzitutto volersi andare a riprendere i voti che avevamo nel 2014. Quanto al sistema elettorale, io credo che si debba, oggi, fare una battaglia sul doppio turno: potrebbero trovarsi convergenze inattese anche col M5s, forse, anche col centrodestra”. Lo spiegherà anche nella convention di Base riformista, che si svolgerà a fine novembre a Milano? “No, perché purtroppo non potrò esserci. Impegni pregressi”. Eppure in tanti, lì dentro, che la acclamano come “anti-Zingaretti”, invocano un congresso. “Un congresso serve, che non necessariamente metta in discussione la segreteria, ma che non eluda nessuna delle questioni che riguardano il presente e il futuro del Pd”.