Matteo Salvini (foto LaPresse)

Cattivissimo Mes

Claudio Cerasa

Ci si può arrabbiare con il termometro quando si scopre di avere la febbre? Balle e ipocrisie. Perché la battaglia sul fondo salva stati è uno specchietto per misurare l’incapacità di Salvini di occuparsi con onestà del futuro dell’Italia e dell’Europa

La complicatissima ma importante discussione maturata negli ultimi giorni attorno al futuro della riforma del Meccanismo europeo di stabilità – il cosiddetto Fondo salva stati che dal 2012 sostiene le economie dei paesi membri dell’area euro in difficoltà offrendo un programma di aiuti in cambio di riforme strutturali – rappresenta uno specchietto utile per valutare l’incapacità dei nazionalisti e dei populisti di ogni genere di occuparsi con serietà e onestà di temi complessi che hanno a che fare con il futuro non solo del nostro paese ma anche dell’Europa.

 

 

In questi giorni Matteo Salvini si è intestato una goffa battaglia politica finalizzata a mettere in discussione la bontà della riforma dei sistemi che regolano il Mes sostenendo due tesi piuttosto discutibili. La prima è che la riforma del Fondo salva stati sia stata calata dall’alto a causa di burocrati europei senza scrupoli. La seconda tesi è che la riforma sia molto dannosa per l’Italia perché implicherebbe una ristrutturazione automatica del debito nel caso in cui il nostro paese dovesse trovarsi nelle stesse condizioni di necessità in cui in passato si sono trovati paesi come la Grecia, l’Irlanda, la Spagna e il Portogallo. La prima tesi è già di per sé molto bizzarra perché, come dovrebbero sapere anche i sassi di Matera, il governo che tra il dicembre del 2018 e il giugno del 2019 ha negoziato un accordo di massima complessivo per cambiare il Mes è proprio il governo di cui Salvini è stato vicepremier per quattordici mesi e il fatto che oggi l’altro partito molto critico con la riforma del Mes sia il Movimento 5 stelle il cui leader è stato per quattordici mesi vicepremier del governo che ha negoziato l’accordo ci dice molto sulla credibilità-tà-tà e onestà-tà-tà e capacità-tà-tà dei famigerati professionisti del cambiamento. Come direbbe il mitico Luigi Lunari, non so, non ho visto e se c’ero dormivo.

 

 

La seconda tesi sostenuta da Matteo Salvini è che il contenuto della riforma, negoziata dal governo guidato dal Papeete da Salvini stesso, conterrebbe elementi che mettono a rischio la sovranità dell’Italia. Quello che Salvini non sa e che potrebbe invece capire se alzasse il telefono e chiedesse lumi al suo ex ministro Giovanni Tria riguarda una serie di punti che meriterebbero di essere chiariti. Primo: non è vero che è prevista la ristrutturazione automatica del debito, non è vero che esiste un automatismo tra accesso al Fondo e ristrutturazione del debito ed è vero invece che qualsiasi riferimento esplicito a quella possibilità è stato espunto dal negoziato anche grazie al lavoro fatto dal precedente governo italiano. Secondo: il trattato in questione è stato modificato su richiesta italiana per inserire un meccanismo di salvataggio delle banche più funzionale rispetto a quello che esiste oggi (oggi se una banca di sistema si trova in difficoltà deve chiedere allo stato di fare richiesta al Mes, con questa riforma la banca in difficoltà potrà fare richiesta a un meccanismo che si chiama Single Resolution Board e che permetterà alla banca di essere eventualmente aiutata con tempismo e non solo dopo il collasso e come notato da Luigi Marattin la riforma del Mes fa avanzare anche l’unione bancaria, perché per la prima volta viene concordato che il Fondo interverrà come prestatore di ultima stanza se le risorse esistenti non dovessero bastare per impedire il fallimento delle banche di dimensioni rilevanti). Terzo: i prestiti del Mes sono sempre condizionati a un aiuto in cambio di riforme strutturali e visto come hanno funzionato quelle riforme in paesi come il Portogallo, l’Irlanda e la Grecia ricevere un indirizzo sulle politiche del futuro dal Fondo salva stati potrebbe essere una buona idea anche senza dover necessariamente chiedere soldi al Fondo salva stati (l’attivazione poi di un sistema rafforzato di “precautionary credit line” che a fronte di un piano di riduzione del debito concordato con la Commissione prevederebbe la possibilità di accedere a linee di credito precauzionali prima di essere entrati in crisi potrebbe essere in caso di necessità utile all’Italia). Quello che poi Salvini non ricorda e che però in privato il ministro Tria ricorda bene è che il grosso della trattativa si è svolto nell’autunno del 2018 e che quando il governo precedente ha trattato lo ha fatto in condizioni di difficoltà estreme, sotto l’incubo dello spread, e mentre il precedente ministro dell’Economia aveva avvertito Salvini di non farsi dettare l’agenda da Borghi e Bagnai per tranquillizzare i mercati ed essere più forti in una trattativa cruciale, l’ex ministro dell’Interno insieme al suo amico Balconaro facevano di tutto per non dare all’Italia gli giusti strumenti per trattare in Europa (“Chi ci ha messo in difficoltà allora – ricorda un ex importante esponente del governo al Foglio – alza la voce senza peraltro capire di cosa si parla e d’altra parte è grazie ad alcuni cattivi consiglieri di Salvini che oggi lui non è a Palazzo Chigi”). 

 

Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, negli scorsi giorni ha segnalato la necessità, nell’ambito delle trattative tra i paesi membri, che “i piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito debbano essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio di una sua ristrutturazione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rivelarsi autoavveranti”. Ma il fatto che all’interno della riforma in nessun passaggio venga mai neppure accennato un automatismo tra l’accesso al Fondo e la ristrutturazione del debito – già oggi ogni decisione del Mes relativa a erogazione di prestiti a paesi che ne fanno richiesta è vincolata alle valutazioni fatte dal board del Mes e di fronte a una valutazione di non sostenibilità del debito del paese che ne fa richiesta il Mes può rifiutarsi di erogare quel prestito: con la riforma di fatto cambierebbe che il Mes avrebbe un ruolo formale nel valutare questa sostenibilità – è un ulteriore indizio sulla vera ragione per cui la Salvini Associati (che non dice come vorrebbe modificare la riforma ma chiede al premier Conte di porre il veto in Europa) ha scelto di utilizzare questa battaglia per schedare i nuovi traditori del popolo: la volontà di affermare un sovranismo finalizzato a ricordare ai cittadini che la vera sovranità di un paese come l’Italia la si ottiene non preoccupandosi di abbassare il debito pubblico ma preoccupandosi costantemente di alzare il livello dello scontro con l’Europa. Vigilare è saggio. Ma raccontare palle è pericoloso. Specie quando di fronte a un problema ci si concentra più sulla qualità del termometro (il Mes) che sulla radice del malessere (il debito). E’ il cialtronismo, bellezza.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.