I sogni di Giorgetti e gli strani piani di Salvini: “Governo con Renzi”
Conte chiede tempo sul Mes, il Pd chiede chiarezza a Di Maio e tutti chiedono al premier di battere un colpo
Roma. Sarà pure vero, come dice il suo sostenitore Giorgio Trizzino, deputato grillino da tempo ascritto alla corrente dei “contiani”, che “un eccessivo protagonismo del premier, ora, spingerebbe Di Maio a esasperare la sua spregiudicatezza comunicativa”. E però, in questo circo Barnum che è il Transatlantico, dove tutti strepitano e s’azzuffano, e quando non strepitano e non s’azzuffano fanno richieste di matrimonio direttamente dallo scranno dell’Aula, la voce dell’“avvocato del popolo” è l’unica che manca. Ed è in quel vuoto che s’ingarbuglia la crisi. “Se su alcune cose tenesse più il punto, si stabilizzerebbe tutto”, dice perfino il renziano Ettore Rosato. Suggerendo in fondo quello che anche i collaboratori del premier gli vanno ripetendo: “Giuseppe, fatti sentire, torna a importi, e fallo subito”.
Già, perché il tempo non è una variabile irrilevante, nella gestazione di questo conflitto giallorosso che sembra sempre sul punto di poter deflagrare. “Sono nel caos”, se la ride Giancarlo Giorgetti, dissimulando un’ansia che pure deve provare, visto che subito aggiunge: “Fintantoché la nebbia è fitta, è più facile centrare un palo. Ma poi la nebbia si dirada”. Offre insomma un’analisi, strano ma vero, che coincide con quella di Carlo Sibilia. “Tutta questa manfrina sul Mes, Salvini la scatena perché sa – dice il sottosegretario all’Interno del M5s – che o innesca l’incidente ora, oppure poi la situazione nella maggioranza si stabilizza, il governo dura e per lui la nottata diventa lunga da passare”.
La fretta di Salvini: “Pronti a tutto”
Anche per questo il segretario della Lega è ipercinetico come non mai, in questi giorni. Con un congresso da gestire, una Capitale da espugnare a colpi di trovate mediatiche ogni giorno diverse, e alleati di cui si fida poco, Meloni in primis. E allora, non sapendo bene che strada seguire, prova a imboccarle un po’ tutte: “State pronti, può succedere qualsiasi cosa”, ha detto due giorni fa ai suoi fedelissimi radunati nel suo ufficio del Senato, “perfino che veniamo chiamati a fare un governo con grillini e renziani”.
L’Ilva e il tradimento di Di Maio a Conte
E così lo scomposto sbracciarsi di Salvini riempie il vuoto lasciato da Conte, che dopo essersi guadagnato il proscenio nella crisi agostana, s’è ritratto dietro le quinte. E’ già successo con l’Ilva, su cui il voltafaccia di Di Maio ancora brucia. Sì, perché il capo grillino, a governo gialloverde già caduto, pressò per settimane Palazzo Chigi per intercedere presso il Quirinale affinché il decreto “salva imprese” venisse tenuto in vita nel trapasso da un esecutivo all’altro: “C’è dentro l’immunità per i Mittal, è fondamentale non farlo scadere”, insistevano dal Mise. E Conte s’è speso, salvo poi ritrovarsi col cerino in mano e una Barbara Lezzi che Di Maio non ha fatto nulla per ricondurre nei ranghi. E ora, sul Mes, l’errore del premier appare lo stesso: eclissarsi nel caos di truppe parlamentari che, se solo lui si facesse sentire, sarebbero quantomeno pronte ad ascoltare. Se non altro perché, con un Di Maio sempre più imperscrutabile, è in Conte che vengono riposte le aspettative di stabilità del governo e di mantenimento della “cadrega”. Se n’è accorto anche Federico D’Incà, ministro per i Rapporti col Parlamento, che la moral suasion più efficace è quella che fa leva sulla paura: “Volete davvero andare a casa?”, si ritrova spesso a dire ai suoi deputati e senatori ribelli. Lo ha fatto anche mercoledì, quando il collega grillino Alvise Maniero voleva presentare una mozione parlamentare contro la riforma del Mes. Allora D’Incà ha preso il telefono e ha chiamato Di Maio: “La decisione spetta a te. Ma se la mettiamo ai voti, può succedere di tutto”. E sono passati due minuti, prima che il ministro degli Esteri imponesse il suo stop a Maniero. “Ecco, lo stesso dovrebbe fare pure Conte”, riflettono tra loro anche i ministri del Pd, che per tutta la giornata hanno aspettato una replica del premier a Salvini, arrivata solo in serata.
L’ipotesi della proroga sul Mes
Lunedì sarà in Aula, il premier. “Farà solo un’informativa”, sbuffa il leghista Riccardo Molinari. Ma in ogni caso il 9 dicembre, prima del Consiglio europeo di metà mese, la maggioranza dovrà votare una risoluzione sul tema. Ed è per questo che nel Pd attendono al varco i grillini. “Se non ratificassimo la riforma del Mes, saremmo l’unico paese a opporci, esponendoci agli attacchi dei mercati”, dice Pier Carlo Padoan, che prova a far ragionare i suoi nuovi colleghi. “La verità è che sull’Europa il M5s deve superare le sue ambiguità”. E a risolverle non è bastata un’assemblea congiunta, giovedì pomeriggio. Da cui i grillini sono usciti con una posizione intermedia: “Il Mes può e deve essere modificato”, tuona Laura Agea, sottosegretaria agli Affari europei. Ma quello che Di Maio si limiterà a fare, per ora, sarà incontrare Conte e Gualtieri, per capire se c’è possibilità di modificare il testo della riforma, magari rinviando di un paio di mesi la firma definitiva. “Ma occhio”, avverte Enrico Borghi. “A Di Maio ricordo che quello col Pd non è un governo sovranista. E ai miei amici del M5s – prosegue il deputato dem – dico di stare attenti a non cadere nella trappola di Salvini”. Nell’attesa, ovviamente, che la nebbia si diradi presto. Che poi è la paura più grande che hanno i leghisti.