La manovra rossogialla rispetta le regole, ma non realizzerà i nostri sogni
Rispetto all’anno scorso, vi è un maggiore rispetto del procedimento, ma le aspettative dell’economia e della società potrebbero restare insoddisfatte
Una volta che il procedimento volto all’emanazione della legge di Bilancio – l’atto più importante per il funzionamento dello stato – è stato avviato e le istituzioni competenti si sono variamente pronunciate sull’adeguatezza delle misure che il governo chiede al Parlamento di approvare, può dirsi che le cose vadano meglio rispetto all’anno scorso? C’è una positiva discontinuità.
Un anno fa, il ministro dell’Economia dovette predisporre la relazione destinata al Parlamento nel caso in cui la Manovra annuale di bilancio si discostasse dagli obiettivi concordati in sede europea. Fu la prima volta in cui tale relazione si rese necessaria. Ciò evidenziò in modo inoppugnabile la deviazione dal percorso di riduzione del disavanzo pubblico cui, almeno nei documenti ufficiali, la politica di bilancio italiana si era attenuta fino a quel momento. Solo nella fase finale dell’iter parlamentare la Manovra fu profondamente rettificata. Al Senato della Repubblica furono concesse, letteralmente, poche ore per approvarla. Il presidente della Camera risparmiò all’altro ramo del Parlamento questo oltraggio. Alla fine, il disavanzo pubblico fu fissato al 2,04 per cento rispetto al prodotto interno lordo, poco al di sopra della soglia indicata da Giovanni Tria prima dell’estate. I costi della tardiva resipiscenza furono elevati, sul piano istituzionale oltre che su quello economico.
Quanto meno in questo senso l’azione del governo è stata coerente con gli obiettivi stabiliti assieme ai partner europei. Si è sforzata di rispettare gli impegni assunti con le istituzioni dell’Unione allo scopo di evitare l’avvio della procedura per debito eccessivo, che – come il ministro Roberto Gualtieri sa bene – rappresenterebbe una sconfitta cocente per la classe politica italiana, per la reputazione del paese sui mercati finanziari. Il progresso è stato rilevante. Tuttavia, il debito pubblico italiano è ben superiore al 130 per cento del prodotto interno lordo. E’ un fardello imponente, per tutti i cittadini italiani. Impedisce al governo di destinare maggiori risorse agli obiettivi richiesti dalle imprese e dalle altre forze sociali. Ne restringe i margini di manovra nelle sedi decisionali europee. Il 20 novembre, nell’esprimere un giudizio complessivamente positivo sullo schema di legge di Bilancio, la Commissione – per l’ultima volta sotto la guida di Jean-Claude Juncker – ha constatato che le stime riguardanti la crescita sono state riviste in senso peggiorativo (0,1 per cento nel 2019, 0,6 nel 2020). Ha osservato che le misure volte a sostenere la crescita economica potrebbero rivelarsi meno idonee a farlo di quanto il governo reputi. Ha segnalato che l’Ufficio parlamentare di bilancio ha espresso il timore che nel nuovo anno si manifesteranno rilevanti ostacoli alla crescita, che il livello del deficit pubblico resta al di sopra della soglia stabilita alla fine del primo semestre (2,2 invece del 2 per cento).
Questi rilievi vanno letti unitamente a due dati su cui la Corte dei conti ha richiamato l’attenzione del governo e del Parlamento nel corso dell’audizione sul disegno di legge di Bilancio. Il primo riguarda la spesa pubblica, vista nel suo complesso. Al netto della sterilizzazione delle clausole relative alle imposte indirette, resta ben poco denaro pubblico disponibile per il resto, e di quel poco il più serve a rifinanziare le spese specifiche e i fondi esistenti. L’altro dato segnalato dalla Corte dei conti riguarda la spesa per investimenti. In particolare, il nuovo fondo istituito presso il ministero dell’Economia “si pone in sostanziale continuità” con quello istituito nel 2018, ma con il rischio di accentuare ulteriormente la “tendenza alla frammentazione degli interventi”, invece di convogliare le scarse risorse disponibili su pochi obiettivi realmente strategici. D’altronde, in un altro cruciale campo non si è realizzato alcun rilevante avanzamento normativo: quello della programmazione e la gestione degli appalti pubblici, che è tuttora inadeguata. Ciò reca pregiudizio all’efficienza delle amministrazioni.
Insomma, rispetto all’anno scorso, vi è un maggiore rispetto delle regole del gioco, ma le aspettative dell’economia e della società tutta sembrano destinate a restare insoddisfatte. Per corrispondere a tali aspettative, è necessario riallocare ampiamente le risorse sul fronte degli investimenti. Sulla capacità di realizzare questa esigenza oggettiva, di fondo, nei prossimi mesi il governo potrebbe giocarsi buona parte del credito di cui dispone, in Parlamento e sui mercati.
Giacinto della Cananea