De Masi, l'evangelista di Giggino Di Maio
L’incredibile sociologo grillino paragona il leader del M5s a Gesù e profana in un sol colpo cristianesimo e socialismo
Roma. Si dice che i politici non ascoltino più gli intellettuali. E forse non hanno tutti i torti. Prendiamo il caso di Domenico De Masi, sociologo e intellettuale organico del M5s, che sul Fatto quotidiano ha scritto una surreale lezione di storia del pensiero a beneficio di Luigi Di Maio. Si parte con l’accostamento fantozziano (“E’ un bel capo politico, è un santo! E’ un apostolo!”) tra Luigi Di Maio e Gesù Cristo: “Di Maio è certamente un giovane fuori classe: è riuscito a mettere insieme un curriculum che nessun trentatreenne, salvo Gesù Cristo, potrebbe vantare”. Data l’età, 33 anni appunto, il napoletano Di Maio più che dalla piaggeria sarà stato colpito dalla scaramanzia.
Domenico De Masi (foto LaPresse)
In realtà De Masi avrebbe potuto osare di più: dal punto di vista formale il curriculum del Capo politico del M5s è migliore di quello del fondatore del cristianesimo. Perché gli “anni perduti di Gesù” sono durati fino ai suoi 30 anni, mentre gli “anni perduti” di Di Maio sono quelli universitari, fino a 26 anni, quando diventa vicepresidente della Camera. Inoltre, come evidenzia De Masi, Di Maio ce l’ha fatta “senza avere alle spalle un contesto elitario, con le sue sole forze”, cosa che di certo non si può dire del Figlio di Dio. Questi sono fatti, di fronte ai quali anche i più scettici rispetto alle qualità di Di Maio devono, con mente laica, inchinarsi.
Il problema sorge quando De Masi abbandona l’agiografia – nel senso letterale di “scrittura di cose sante” – e atterra sul suo campo di competenza. O meglio, quando il sociologo De Masi s’improvvisa politologo e fa una sintetica storia del pensiero a uso del predestinato Di Maio. De Masi dice a Di Maio che deve scegliere tra destra e sinistra, tra neoliberismo e socialdemocrazia, che è la sempiterna contrapposizione della politica. Non esiste una terza via. Ma la storia di questa guerra tra bene e male e del fallimento delle “terze via” sviscerata da De Masi è costellata di sfondoni, che non solo un “fuori classe” ma persino un “fuori corso” riconoscerebbe. I primi a creare “il mito della terza via”, scrive De Masi, “furono i socialisti utopisti come Saint-Simon, Fourier e Proudhon che si opposero con pari forza al liberismo e al marxismo”. Dopo il cristianesimo, De Masi profana anche la religione socialista: Saint-Simon e Fourier non erano e non potevano essere oppositori del marxismo, perché sono morti quando Marx era bambino (Saint Simon) e prima che cominciasse la sua attività pubblica (Fourier). Proudhon è precedente al filosofo di Treviri, seppure in parte contemporaneo. Al contrario, è stato Marx ad aver superato e a essere entrato in forte contrapposizione con i socialisti utopici. Confondere le due cose è una violenza alla storia del pensiero, vorrebbe dire che la “Filosofia della miseria” di Proudhon sarebbe stata scritta in risposta alla “Miseria della filosofia” di Marx, e non viceversa come invece è stato. Ma non si ferma, De Masi. Due righe dopo scrive che “le idee e le azioni di questi ‘utopisti’ – Fourier, Saint-Simon e Proudhon – prepararono le successive proposte di Karl Kautsky e soprattutto Eduard Bernstein”. In un colpo la storia della Seconda Internazionale va in fumo. Kautsky e Bernstein – seppur socialdemocratici – erano marxisti ortodossi, con divergenze sull’uso dei mezzi politici, ma saldamente ancorati al materialismo storico e al “socialismo scientifico” (altro che utopisti).
Poco più avanti, dopo aver fatto un mischione tra Mussolini, Macmillan e Röpke, De Masi salta all’“ubriacatura neoliberista di Nixon e della Thatcher negli anni Ottanta”. Nixon non è stato presidente negli anni Ottanta e non è stato neppure “neoliberista” (Milton Friedman l’ha definito “il più socialista dei presidenti degli Stati Uniti nel Novecento”). E così via con Giddens e Blair…
De Masi confonde sistematicamente ciò che viene prima con ciò che viene dopo, le cause con le conseguenze. Lo stesso metodo che applica all’economia, quando in un libro suggerisce ai disoccupati di tutto il mondo di unirsi e “offrire gratuitamente la loro opera a chiunque ne avesse bisogno” per sconfiggere la disoccupazione: “Lavorare gratis, lavorare tutti”, il titolo. Oppure, quando propone di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario per far aumentare la produttività, ribaltando ancora una volta – dopo Proudhon e Marx – anche la logica tra cosa dovrebbe venire prima e cosa dopo. Ed è così, invertendo cause e conseguenze, che si finisce per non riconoscere la differenza tra un miracolato e uno che fa i miracoli. Di Maio e Gesù Cristo, appunto.