Mattia Santori

Il fenomeno sardine visto con gli occhi di un protagonista

Marianna Rizzini

Come e perché la saturazione per le piazze del “vaffa” ha portato alle piazze contro il populismo, il linguaggio dell’odio e i politici irragionevoli. Intervista a Mattia Santori

Vita da sardina, scena prima. E’ martedì 3 dicembre. Su Repubblica compare un’intervista. Parla il professor Romano Prodi, ex premier, riserva della Repubblica e nume tutelare del centrosinistra ulivista e post ulivista. Parla per fare un endorsement, il Prof.: “Non avevo mai visto in vita mia una manifestazione che inneggia alla civiltà dei toni”, dice a proposito del movimento nato a Bologna a metà novembre in nome del no al populismo salviniano, del no al discorso d’odio, del sì a un establishment sano (“ci rivolgiamo a politici con la P maiuscola con cui confrontarsi e a cui affidare il paese”, dicono le sardine). Un establishment che possa dire o fare cose ragionevoli, con parole non urlate – novità, questa dell’appello diretto al mondo politico, che fa emergere la differenza principale con le varie piazza del “vaffa”. Movimento di “giovani vecchi”, li hanno chiamati, per via della caratterizzazione non rivoluzionaria, non anti élite, non anti casta. Esegesi del Prof. Prodi: “Chiedono toni civili. Vuol dire che la durezza del dibattito, indipendentemente dal contenuto, inizia a stancare”.

 

Ma il fatto che ci sia un endorsement è fuorviante, così come fuorviante è il fatto che Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, si sia offerto di partecipare (“se mi chiamano io ci sono”), proprio nel momento in cui le sardine nuotano ormai in mille rivoli verso il mare romano (manifestazione e primo incontro nazionale il 14 e 15 dicembre), e che l’ex premier Mario Monti, dagli studi di “Agorà” (qualche giorno dopo) esprima “interesse” per un fenomeno che gli pare stia “dando gambe e voce a esigenze molto elementari di una società che però nella politica italiana sono state abbastanza dimenticate, cioè che si ragioni e si parli delle cose in modo pacato, che chi governa se possibile non sia totalmente privo di competenze. Sono punti un po’ dimenticati, è un po’ paradossale che occorra andare nelle piazze per farli valere”.

 

A neanche un mese dalla nascita del fenomeno, e in attesa
della manifestazione (e prima assemblea) del 14-15 dicembre,
gli endorsement arrivano numerosi: non solo Romano Prodi
e Giuliano Pisapia, anche Mario Monti, Patti Smith.
E Francesca Pascale: “Potrei scendere in piazza con loro”

 

Fuorvianti sono pure i sondaggi che testano le sardine (chi dice il 7 per cento, chi dice il 15). Poi c’è la compagna di Silvio Berlusconi Francesca Pascale che guarda con interesse alle sardine e si dice pronta a scendere in piazza (formidabile risposta post ideologica di Santori: “Benvenuto chiunque si discosti dal sovranismo”) . Ma l’essere sardina, secondo l’impostazione delle prime sardine, poi dilagata a clone in tutta Italia, seguendo il “manifesto” originario bolognese pubblicato sui social, non vuole essere altro da sé: siamo quattro amici al bar, hanno detto Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni, Roberto Morotti. Quattro amici al bar stanchi della retorica grandguignolesca del “tutti contro tutti”. E quindi, Prodi a parte (ma anche Roberto Saviano a parte: era in piazza con le sardine a Milano), le sardine sono sardine, i partiti sono partiti, stop. Chi lo dice? Loro, anzi lui, il coordinatore-ideatore-volto mediatico Santori, il trentunenne bolognese con i ricci e il maglione girocollo che è passato in pochi giorni da nessuna apparizione tv a tre o quattro apparizioni tv a settimana.

 

Vita da sardina, scena seconda. E’ sempre martedì 3 dicembre e Mattia Santori, il bolognese trentunenne di cui sopra, risponde trafelato al telefono, sulla via per la stazione (sta andando a Roma, per partecipare alla puntata di “DiMartedì”, su La7, dove dirà la frase “le pance sono piene di slogan, noi puntiamo ai cervelli”). Noi chi? Chi siete, chi pensate di essere esattamente? E il trafelato Santori sale sul treno dicendo che proprio questo scopriranno il 14-15 dicembre a Roma, in piazza e duranti gli stati generali embrionali di quello che non si sa neppure se è un movimento o un happening del “no” al tono di Matteo Salvini (più che a Salvini) o un grande incontro a intermittenza in nome del “lottiamo contro l’odio”, per dirla con la sardina romana che qualche giorno fa, su questo giornale, descriveva l’afflato di piazza senza vedere ossimori tra lotta e odio. E se il flash-mob con animo flessibile, supererà, come spera Santori, i cinquecentomila auto-convocati in un mese, Roma sarà una specie di giorno dell’auto-giudizio provvisorio: “A Roma capiremo meglio la nostra identità, chi siamo e dove andiamo”.

 

Bologna, 14 novembre 2019. Le sardine organizzano la loro prima manifestazione riempiendo Piazza Maggiore

 

Intanto Santori dice di non aver previsto la portata della prima convocazione bolognese in Piazza Maggiore (“anzi, forse abbiamo sottovalutato”). E la sottovalutazione ha portato però comunque allo stravolgimento di vita, di giornate e di prospettive. Nel giro di neanche un mese, Santori ha smesso di essere soltanto un trentenne con doppio lavoro – “tipo Batman: di mattina a fare ricerca sui mercati energetici, di pomeriggio a insegnare basket e atletica ai bambini, e ultimate freesbee agli universitari”, dice, forse sicuro che l’interlocutore sappia di che cosa si tratta (“sta diventando di moda come il padel”, spiega un esperto di sport al cronista ignorante della materia). E, sempre nel giro di un mese, Santori ha cominciato a essere un trentenne improvvisamente mediatico, titolare numero uno del “duro lavoro” di sardina, secondo la sua autodefinizione. Non vuole fare un partito, la sardina Mattia, né vogliono farlo gli altri, “prima di tutto perché il nostro obiettivo è diverso: fornire alla politica alcuni spunti, ribadire il no allo scontro verbale sterile, aiutare a innovare in questo senso il messaggio, dare una motivazione a chi non si accontenta di scegliere tra le provocazioni di Salvini e l’indifferenza di alcuni partiti, riempire un vuoto di rappresentanza ma nel senso prima di tutto della presenza, con creatività”. Aleggia comunque un rischio: il tentativo di scalata di chi vuole riciclarsi dopo altre esperienze politiche.

 

In ogni caso non vuole candidarsi, la sardina Mattia, anche se fa capire che proposte informali ci sono state. No, non mi candido, ripete al Foglio (“ma non si sa mai che cosa può succedere nella vita”, ha detto durante una puntata di “Un giorno da Pecora”, su Rai Radio1). La paura che corre sottotraccia da Bologna al Sud, alla vigilia dell’evento di Roma, è che, a inscatolare la sardina, si possa finire inscatolati (fine del paragone ittico con i Cinque stelle, dove il Parlamento scatola di tonno ha inghiottito il tonno). In generale, ogni paragone è rifuggito da Santori: “Noi non siamo come i Cinque stelle semplicemente perché non siamo antipartitici, non diciamo nessun vaffa; ci autoconvochiamo dal basso ma non per spazzare via chi governa adesso; non siamo antipolitici, noi vogliamo che i politici in grado di fare qualcosa la facciano. E non siamo come i Girotondi, che erano più un movimento di nicchia intellettuale”. E quindi chi sono, le sardine? Non lo sa ancora bene Santori, non lo sanno gli altri. E forse la citazione da Eugenio Montale è già presente da qualche lato dei cartelli-sardina o dei piccoli pupazzi-sardina in materiale riciclabile in vendita in parte per autofinanziamento (il resto va alla Caritas e alle sartorie sociali che confezionano): “Codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo / ciò che non vogliamo”.

 

Fatto sta che non passa ora in cui Mattia Santori non riceva telefonate in cui deve rispondere a domande sull’identità – liquida come la forma – della cosiddetta “sardina nazionale” che si profila (da Roma in poi, dice Mattia, si dovranno trovare “dei temi comuni da declinare in modo diverso nei territori”). Traduzione per l’Emilia-Romagna: presentare, come si fosse un gruppo di pressione, una lista di desideri e suggerimenti al candidato del centrosinistra e governatore uscente Stefano Bonaccini. “Una serie di temi con cui stimolare la politica”: una prima lista di lavoro, dice Santori, uscirà il 15 dicembre (intanto le sardine sono finite sulle pagine dei quotidiani stranieri, dal New York Times al País e non solo. E gli ideatori sono stati contattati da italiani all’estero che vorrebbero organizzare eventi “dove la sinistra ha fallito”, a partire dalla Londra in bilico sull’orlo della Brexit, fino ad Amsterdam e Helsinki).

 

Come ci si trasforma da trentenne con vita tranquilla – primo lavoro, amici, fidanzata, pomeriggi a insegnare sport a bambini (anche disabili)
e freesbee agli universitari – a trentenne che in una settimana partecipa
a quattro talk-show con l’idea “di aiutare a innovare il messaggio”
(in positivo) 

 

Vorremmo essere d’aiuto a riportare verso la politica chi ne ha voglia, ma è deluso”, dice Santori. “Vorremmo rispondere a chi è esasperato dal dibattito che gira su se stesso, amplificando l’aggressione retorica a scapito della ragionevolezza, a chi si è sentito solo, a chi, dopo la disaffezione, vorrebbe tornare a esserci, ma senza sostituirsi ai partiti. In questi giorni ci siamo resi conto, di fronte alla velocità di reazione alla nostra proposta, che sotto lo stesso cappello della sardina è arrivata gente che si è sentita esclusa o violentata nella scelta, come chi, per via della legge elettorale che non ti permette di fare altrimenti, ha dovuto votare un candidato indigesto”. Ma non sono cose che hanno detto in passato anche altri? Santori dice che “la differenza è prima di tutto – o almeno questo vorremmo fosse il messaggio – nel codice stilistico da applicare al dibattito politico. E i punti tematici che proveremo a enucleare a Roma non saranno comunque scritti sulla pietra”. Che il contenuto debba restare, per preservarsi, soltanto quel “no” al fanatismo dell’opinione rissosa, no “all’antipolitica” che diventa “anticamera del nulla”? Dalle parole di Santori, si capisce intanto che, non essendo mai mai e poi mai come un movimento del vaffa, le sardine sono di sicuro un movimento dell’uffa. Un enorme “uffa” che gonfia il fiume dove nuota la sardina: uffa a chi vuole defenestrare i governanti con slogan vuoti sui poteri forti, uffa a chi, dice Santori, citando il manifesto-prototipo delle sardine, ci vuole aizzare contro qualcuno da cui ci dobbiamo liberare: “Siamo noi che ci dobbiamo liberare dalla presenza opprimente del populismo”. Il passo dal vaffa all’uffa: la piazza della sardina, intanto, l’ha compiuto, invocando non la trasformazione del cittadino in politico, ma la presa di potere di chi la politica la fa bene: è l’elogio della delega parlamentare, la Cenerentola degli ultimi anni di furia iconoclasta grillina (che però non aveva calcolato l’effetto dell’ingresso in Parlamento). “Noi vogliamo essere non un partito, ma un anticorpo”, dice Santori. “E per essere anticorpo dobbiamo dare un messaggio positivo, presentarci con parole alternative che non obblighino ad abbassarsi al livello di chi si sta combattendo”.

 

Flashback: un giorno qualsiasi, ma precedente al 14 novembre 2019. Mattia Santori, ex studente di Scienze Politiche con una vita tranquilla da trentenne – primo lavoro, amici di sempre, fidanzata con cui sta da quattro anni – sta andando al Rie, società privata che opera nel campo delle ricerche su mercati energetici (Santori si interessa di energie rinnovabili ma, dice, non è né è mai stato “un ambientalista militante”). E’ arrivato lì dopo la tesi sulla Tav (Santori si interessa di alta velocità ma, dice, non è assolutamente un militante anti Tav, anzi). Ci lavora da qualche anno, al Rie, Santori, anche se non ha mai lasciato l’occupazione della seconda parte della giornata – che come si è detto è l’istruttore di sport (ma ha fatto anche il babysitter e il “maestro” nei centri estivi): “I bambini hanno bisogno di punti di riferimento”, dice oggi per spiegare come, tra l’ufficio e le ore al campo sportivo, in questi giorni caotici, dovendo scegliere di volta in volta che cosa sacrificare, sceglie sempre di mantenere l’insegnamento, attività intrapresa fin da quando era adolescente, all’inizio come lavoretto collaterale agli studi.

 

Le sardine a Milano, in Piazza Duomo, lo scorso 1 dicembre 

  

Non studiava però al liceo classico né al liceo scientifico, ma all’istituto alberghiero. Voleva lavorare in Riviera? “No, semplicemente non volevo finire in un ambiente troppo omologato, non mi ispirava. Non volevo diventare uguale a tutti quelli che, pensavo allora, fanno il liceo a Bologna. Volevo stare in un ambiente più vario umanamente, e infatti umanamente mi sono arricchito, in quegli anni. E forse avevo anche poca voglia di studiare. Però poi ho avuto nostalgia dello studio, studio vero, in cui si approfondisce, si pensa, ci si interroga. E allora mi sono iscritto all’Università”. Nella famiglia di Mattia non ci sono politici di professione, ma una tendenza all’impegno nel sociale sì, da cui l’impiego di Mattia come istruttore di sport anche con bambini disabili (durante un talk-show, rivolgendosi a Salvini, e per una volta contravvenendo al codice stilistico antipolemico, Santori ha invitato il leader della Lega a fare cambio di vita, e a oltrepassare la sliding door, andando un giorno a lavorare dove ha lavorato lui, fuori dallo schermo e dalle dinamiche della salviniana e internettiana “Bestia”).

Nella famiglia di Mattia, racconta Mattia, c’è una madre che ha lavorato per molti anni nella Sanità, anche infermiera, e che “non ha mai voluto rivelarci quello che votava”, e un padre che ha lavorato per una vita negli uffici del Teatro comunale di Bologna, uomo di sinistra, a tratti politicamente sconfortato, “sofferente, di volta in volta, assieme alla sinistra in sofferenza”. Tutti e due hanno sempre votato “per senso del dovere”. Poi ci sono due sorelle maggiori e i nipotini, e la suddetta fidanzata “dal nome palindromo”, in questi giorni molto paziente.

 

Gli studi non al liceo (“non volevo essere come tutti quelli che andavano al liceo a Bologna, e forse avevo anche poca voglia di studiare”), l’istituto alberghiero, l’università e la folgorazione per lo studio “che fa pensare”

 

Una misteriosa ragazza che prima non si occupava di politica e adesso si è trasformata in “sardina della prima ora” (per la partecipazione a “Un giorno da pecora” in cui ha parlato di lei e delle signore cinquantenni che volentieri “si fanno un selfie” con lui, e per le interviste in tutti i talk-show, Santori ha ricevuto venerdì da Francesco Merlo, su Repubblica, un consiglio affettuoso: “Attento Mattia, le sardine hanno uno stile”).

 

Prima di farsi sardina a tempo quasi pieno, Mattia è stato anche esattore per Autostrade, raccoglitore di frutta, ragazzo delle pizze a domicilio, fino ad approdare, grazie alla tesi e a uno dei suoi professori con cui ha mantenuto “un rapporto di stima e scambio dopo la laurea”, Alberto Clo, alle ricerche con il Rie. Il momento di svolta nel senso del ritorno dell’amore per lo studio risale però all’incontro con un altro professore, quello di Diritto alle superiori (all’istituto alberghiero): “Uno che ti apriva la mente e sapeva farsi rispettare in una scuola dove non era scontato essere rispettati, avendo l’orecchino e un look eccentrico. Insegnava diritto in una chiave che lo rendeva affascinante, ma soprattutto è stato formativo dal punto di vista dell’esempio che ci dava”. E’ stato anche grazie a quel prof. che Santori ha sentito “di voler fare qualcosa di utile per la società” (invece dell’altro Prof. che apprezza le sardine, il suddetto ex premier e professor Prodi, Mattia Santori ha parlato per smentire ogni illazione: “I miei legami con Prodi? Una fake news montata ad arte”, ha detto al forum di LaPresse. “Un giornale è andato a spulciare il mio profilo Facebook in cui dicevo che, per lavoro, avevo intervistato Romano Prodi. Sotto quell’articolo sono arrivati una serie di insulti semplicemente perché si parlava di Prodi”). All’università – dove Mattia studiando Scienze Politiche non è però mai arrivato alla convinzione di voler fare qualcosa di attivamente politico, fino al giorno in cui con altri tre amici ha deciso di scrivere su Facebook il post di convocazione della prima piazza di sardine – la futura sardina Santori amava le lezioni del politologo Gianfranco Pasquino, e a volte ci portava anche suo padre: “Dopo lezioni così, non puoi accettare gli schemi semplificati che ci propone il populismo salviniano e non salviniano”.

 

E però da fuori ci si domanda se le sardine non abbiano paura di essere, nel loro mare, invase dai pentiti del populismo grillino. “E’ possibile, ma se è gente delusa che non si sente più rappresentata e condivide ora il nostro ‘no’ a un certo tipo di impostazione e di linguaggio, e se queste persone vengono in piazza a titolo personale ben venga. Ma ripeto: non faremo un partito, anche perché siamo consapevoli del rischio travaso da altri partiti ed esperienze. Allo stesso tempo non demonizziamo chi ha fatto politica e fa politica con passione, non importa dove. In questi giorni ho visto sul territorio una classe dirigente politica sommersa, fatta di tante persone di valore, impegnate da anni in varie formazioni, che nonostante l’impegno e la preparazione lavorano dietro le quinte e non possono fare quello che vorrebbero fare, magari perché escluse da giochi di potere interno. Ecco, noi ci rivolgiamo anche a queste persone, e come diciamo sempre non ci vogliamo sostituire, vogliamo che i politici di valore possano lavorare senza questo clima di aggressività non costruttiva, restando coerenti, perché è la coerenza la cosa che secondo me più è mancata negli ultimi anni”. “Siete come Greta”, dicono i detrattori delle sardine e dei giovani in mobilitazione per la Terra. “Ci sono temi comuni a quelli portati avanti dai ragazzi dei ‘Fridays for future’, ma loro non hanno una vera linea politica e noi non abbiamo una vera linea sull’ambiente. Sicuramente il tema dell’ambiente non è uno dei temi del populismo di destra, sicuramente c’è una somiglianza nel fatto che ci sentiamo individualmente responsabili. Quando ci vedremo faccia a faccia tra sardine di tutta Italia parleremo anche di questo: dell’individuazione di alcuni argomenti su cui lavorare, e della nostre linee guida, per evitare di veicolare messaggi confusi”. “Mi sembrate Greta” l’ha detto anche il direttore del Giornale Alessandro Sallusti a Mattia Santori due giorni fa, durante una puntata di “Otto e mezzo”, su La 7, e Santori ha risposto con una domanda: “Ma tu Sallusti come la faresti la rivoluzione?”. “Se uno vuole candidarsi a guidare un paese”, diceva Sallusti, “dice che cosa vuole fare, e gli italiani dicono sì o no. Finché non dite cosa volete fare non è una rivoluzione, è una presa in giro. E più attaccate Salvini, più Salvini ci guadagna e ringrazia. Ha bisogno di un nemico, glielo avete offerto su un piatto d’argento”.

 

I punti in comune con i “ragazzi di Greta”? Santori non si sente ambientalista militante. La tesi sulla Tav? Lui non è anti Tav. Il rischio travaso dei pentiti del populismo grillino? “Non c’è, se non si fonda un partito”

 

Alle ulteriori domande di Lilli Gruber, Santori ribadiva la non-intenzione di fare un partito. “Sallusti ci dichiara illiberali, pericolosi e fascisti, vuole sapere la nostra idea politica. Ma purtroppo noi non facciamo politica, siamo coerenti con noi stessi, abbiamo detto che non ci candidiamo e non abbiamo bisogno di fare un partito”. Dopo la piazza di Milano – 25 mila sardine – Santori aveva però già espresso il concetto che va ripetendo su molti schermi: “In questo momento dobbiamo stare il più lontano possibile dalla politica e mantenere la nostra identità fluida e spontanea. Più avanti si potrà cercare il dialogo con chi le risposte le deve dare. Con Matteo Salvini, invece, non sono possibili confronti di alcun tipo”.

 

Ma al Pd si sentono vicine, le sardine? “C’è una vicinanza naturale”, dice Santori, “come ad altre forze della sinistra, e non soltanto perché in piazza abbiamo cantato ‘Bella ciao’”. E però c’è stato un periodo in cui a Santori piaceva Matteo Renzi, fino a che, ha confessato lui stesso a Daria Bignardi, a “L’Assedio”, sul Nove, qualcosa in piazza, anni dopo la prima fascinazione, non gli ha fatto cambiare idea: “La piazza non ha filtro. Sono andato a vederlo alla Festa dell’Unità dal vivo, aveva questo dibattito per il referendum. E li mi è cascato, davanti al senza filtro. Mi sono cascate un po’ le finzioni: la macchina del marketing commerciale, che ormai purtroppo accompagna la politica, quando la vedi dal vivo, senza filtri, si presenta per quello che è, mancanza di empatia. C’era proprio un distacco tra la realtà e la persona che c’era sul palco, cosa che secondo me non dovrebbe mai avvenire (Renzi invece dice: “Sono contento che le sardine abbiano tolto il controllo delle piazze a Salvini. Ma più che di sardine abbiamo bisogno di salmoni che nuotino controcorrente”, ha detto a Milano, durante la tappa milanese di “Italia shock”, presentazione del programma di Italia Viva).

 

E ora, anche se le manifestazioni di curiosità e gradimento arrivano da lati impensabili – nel giorno della piazza di Ravenna, qualche giorno fa, la cantautrice americana Patti Smith, in città per uno spettacolo, si è presentata con una sardina di carta attaccata alla giacca al grido di “saluto l’Italia, saluto le sardine” – tutto sembra sospeso (e appeso) alla manifestazione di Roma e al suo corollario: la domenica in cui “ci si guarderà in faccia, dal vivo”, dice Santori. Non è sospeso però in Emilia-Romagna, dove le sardine hanno già deciso, come si è visto, di presentare dei punti al candidato e governatore uscente Bonaccini, ed è in movimento in Calabria, dove, in vista delle Regionali, il volto delle sardine calabresi, Jasmine Cristallo, ha lanciato un appello alle forze politiche del centrosinistra litigioso: “Fate tutti un passo indietro e pensate alla Calabria”, ha detto, e magari candidate un giovane. In linea con il coordinamento nazionale delle “6000 sardine” di cui Santori è caposaldo, Cristallo ha chiesto insomma alla classe dirigente politica di procedere verso la “rigenerazione” per poter davvero “fronteggiare la deriva leghista con tutte le sue conseguenze, per una politica che ribadisca la centralità, la difesa e l’attuazione della Costituzione e dei valori in essa contenuti”. La sagoma ideale della Costituzione prende forma, dunque, come bandiera simbolica, accanto al pupazzetto di pezza della sardina che accompagnerà i pullman diretti a Roma. Dietro alle parole caute, si intravede il primo obiettivo. Dice Santori: “La prima cosa è far capire quello che vogliamo: che si coltivi la competenza, argine di per sé al populismo, e che si aiuti la politica che sa risolvere i problemi”. E il “cosa non siamo, cosa non vogliamo” si fa per un momento affermativo.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.