“Le ambiguità sull'euro nella Lega indeboliscono l'Italia”, ci dice Carfagna
“Con dichiarazioni come quelle di Borghi sull’euro l’Italia non ci fa una bella figura. Mes? Basta con questa propaganda becera”. La versione della vicepresidente della Camera. “Sardine, occhio alla sinistra”
Roma. Nel partito degli “euroinomani” dice di trovarsi a suo agio. “Sono in buona compagnia, visto che la stragrande maggioranza degli italiani non ha alcuna voglia di tornare alla lira”. Ce l’ha però qualche suo collega di coalizione, come quel Claudio Borghi che sabato scorso l’ha attaccata su Twitter per avere osato scrivere che “l’uscita dall’euro sarebbe una sciagura”. E così anche Mara Carfagna è finita nella immonda schiera dei difensori della moneta unica. Secondo la vulgata leghista cara a Borghi, “gli euroinomani” appunto. “L’uscita dall’euro – scuote il capo la vicepresidente della Camera, riferimento di quella parte di Forza Italia che non si rassegna alla dottrina sovranista – trascinerebbe il nostro paese nella situazione del Venezuela. Delle carriole piene di soldi per comprare un tozzo di pane io non ho alcuna nostalgia. Per non dire poi dei danni ai risparmiatori e alle banche che ne seguirebbero, della crisi sui mutui, della fuga dei capitali e del fallimento di tanti imprenditori. Non è che possiamo ripagare i nostri debiti con il marengo padano”.
Essere costretti a ribadire l’ovvio, però, non è mai un buon segno. “Il centrodestra non può ammettere alcuna ambiguità su questo tema. Non si può accettare il rischio di mandare il paese in rovina solo per seguire le teorie strampalate di qualche presunto luminare come Borghi, le cui dichiarazioni sono già costate all’Italia tanti, troppi soldi”. E però Borghi è il consigliere economico di Matteo Salvini. “Io non posso che fidarmi delle parole del segretario della Lega, che ha smentito il suo stesso collega di partito. Mi pongo però delle domande sull’opportunità di assegnare certi incarichi di grande responsabilità istituzionale a chi propugna tesi che danneggiano il paese. Quando le dichiarazioni di Borghi sull’uscita dall’euro vengono riportate all’estero, i media stranieri le attribuiscono al ‘president of the budget commission’: e il paese nel suo complesso non ci fa una bella figura. Confido nel fatto che Salvini comprenda la necessità di superare qualsiasi ambiguità, sul tema dell’euro”. Veramente, nel fine settimana ha raccolto le firme per dire “Stop Mes”: uscirne sarebbe il preludio dell’Eurexit. “Forse a qualcuno conviene far credere che sia in discussione il trattato nel suo complesso, e non la sua riforma sulla quale c’è stato un negoziato lungo più di un anno. Un governo serio avrebbe dovuto battersi quand’era il momento per ottenere le condizioni migliori possibili, per l’Italia. Ma evidentemente, chi stava al governo durante quei mesi di trattative, o non ha capito di cosa si stava discutendo o magari era un po’ distratto, troppo preso dal fare comizi nelle piazze o dirette Facebook. Così ora si è arrivati al ‘prendere o lasciare’. E diciamolo subito: non firmare significherebbe far pensare al mondo che l’Italia ha paura di una crisi imminente. Ovvio, bisogna accertarsi che non ci sia alcun automatismo nella ristrutturazione del debito: ma un partito che si dice forza di governo non può fare della becera propaganda su un tema così delicato”.
E ora, dunque, che fare? “Ora – risponde Carfagna – dobbiamo garantire che l’Italia non avrà mai bisogno di fare ricorso al Mes e mai si ritroverà a dovere ristrutturare il suo debito. Una eventualità che alcuni critici del trattato additano con una certa leggerezza, non si sa se più temendola o più auspicandola”. E FI? “Il nostro ruolo deve essere quello di stabilizzare il centrodestra, di sottrarlo a tentazioni sovraniste. Ma, è chiaro, tutto dipende dal consenso”. E il vostro, al momento, non è gran cosa. “Di qui il rischio di eventuali derive: quando avevamo percentuali ben più alte del cinque-sei per cento attuale, potevamo perfino allearci con partiti che avevano pulsioni secessioniste. Oggi, invece, siamo la terza forza nel centrodestra”.
Anche per questo c’è chi pensa a un possibile trasloco di un pezzo di FI in Italia viva di Matteo Renzi? “See, n’ata vota”, se la ride Carfagna, in un riflesso istintivo di veracità salernitana. “Che nel nostro partito ci sia malcontento dimostra che non tutti si rassegnano a un ruolo di subalternità. Ma con Renzi giochiamo su fronti opposti: io nel centrodestra, lui nel centrosinistra. Stando così le cose, non può esserci alcun dialogo”. Ma a gennaio, chissà, col rinnovo del programma dell’esecutivo, magari un rimpasto… “Io non ce li vedo i liberali moderati a entrare in un governo di sinistra con Luigi Di Maio ministro degli Esteri”, interrompe lei, come a troncare un discorso che considera già chiuso. A differenza, invece, delle trattative interne al centrodestra sulle regionali. “Guardo con grande preoccupazione alla Calabria, perché vedo il rischio di una spaccatura nel partito locale che invito tutti a voler scongiurare”.
E delle sardine, cosa ne pensa? “Ogni volta che vedo voglia di partecipazione alla politica sono contenta. L’interesse di tante persone alla cosa pubblica deve dare ancora più responsabilità a chi l’amministra, tanto più che in queste piazze non ci sono aspiranti candidati, per ora, né si sentono riecheggiare gli slogan anticasta di qualche anno fa. Suggerirei a questi ragazzi di dare un’occhiata anche al mondo della sinistra perché il linguaggio populista contro cui si battono proviene spesso anche da lì”.