Il senatore del M5s, Elio Lannutti (foto LaPresse)

Dal popolo alla Popolare. La parabola della Lannutti family

Luciano Capone

Il figlio del senatore del M5s, candidato alla guida della Commissione sulle banche, lavora nell'istituto pugliese. E quando gli chiediamo conto della sua assunzione risponde: “Adesso chiamo papà così se la vedrà con lui”

Roma. Nella vicenda della Popolare di Bari, banca portata al dissesto dalla gestione familistica degli Jacobini, c’è un altro intreccio familiare: il figlio di Elio Lannutti, il candidato del M5s alla presidenza della Commissione d’inchiesta sulle banche, lavora proprio per la banca Popolare di Bari. La notizia si è diffusa nel pomeriggio, ma quando abbiamo contattato questa mattina il diretto interessato non se ne sapeva ancora nulla. “Sì, sono il figlio del senatore e lavoro alla Popolare di Bari, ma queste domande dovete farle a mio padre”. Alessio Lannutti rimanda tutto a papà, anche le domande sul tipo di incarico che svolge, sull’inizio della sua occupazione e sulle modalità della sua assunzione avvenuta durante la gestione della family Jacobini. “Lei come si chiama? Luciano Capone del Foglio? Adesso chiamo papà e gli dico che mi ha telefonato, così se la vedrà con lui...”, dice Alessio Lannutti prima di interrompere la comunicazione.

 

“Papà” non si farà sentire, impegnato com’è a difendere la sua – indifendibile – candidatura a presidente della Commissione banche, soprattutto dopo che il Tg La7 dà la notizia dell’assunzione di suo figlio nella banca in dissesto al centro del salvataggio di stato. Alessio Lannutti è figlio unico ed è stato assunto dalla banca Popolare di Bari a Roma, nel “comparto sviluppo grandi enti & pubblica amministrazione” nonostante il suo curriculum dice che si è formato in un altro settore: il figlio di Lannutti è un giornalista che ha lavorato per “Teleambiente” e “Teleagenzia1”, due testate fondate dall’amico di papà, Bruno De Vita, a sua volta segretario generale dell’Adusbef, associazione dei consumatori fondata e presieduta da papà Elio. Papà Elio che a sua volta è stato direttore responsabile di “Teleambiente”, l’emittente dell’amico e co-fondatore dell’Adusbef De Vita in cui poi è stato assunto Lannutti jr, prima di arrivare alla banca Popolare di Bari per occuparsi di “grandi enti e pubblica amministrazione”, ambito in cui ha un certo peso il papà senatore.

 

Non sappiamo se la figura e le conoscenze di papà Elio Lannutti abbiano influito, come nel resto della carriera del figlio, anche per l’assunzione nella Popolare di Bari. O se invece è stata proprio l’assunzione del figlio nell’istituto barese in dissesto ad aver influito sulle posizioni di papà, che in genere sono sempre molto dure e tranchant contro i “banchieri e la finanza criminale”, mentre nel caso della banca Popolare di Bari degli Jacobini sono state insolitamente morbide e caute.

 

Non sarà certamente questo piccolo intreccio familiare con relativo mini conflitto d’interessi il vero ostacolo di Lannutti alla presidenza della Commissione d’inchiesta sulle banche, perché i motivi per cui il senatore del M5s è inadeguato a quel ruolo sono altri e ben più gravi. Ad esempio le sue esternazioni antisemite, come quel famigerato post in cui Lannutti ha rilanciato i protocolli dei Savi di Sion, il famigerato falso storico alla base dell’antisemitismo moderno, in cui secondo quanto riportato dal senatore “viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto del sistema economico, oggi del globalismo, dei banchieri di affari e finanza criminale”.

 

Concetti analoghi sono alla base delle invettive dell'esponente del M5s contro il prototipo del moderno “banchiere ebreo”: George Soros. “Il processo di Norimberga ,per crimini economici contro l’umanità, occorre istruirlo per Soros il criminale speculatore sulla lira”, ha dichiarato Lannutti. Una volta ha persino rilanciato sui social una falsa intervista a George Soros, presa da un sito complottista, in cui il finanziere ungherese affermerebbe: “Io sono un Dio, ho creato tutto, controllo tutto”. Lannutti ora prova a difendersi da chi gli rinfaccia le sue posizioni, minacciando di querelare chiunque le ricordi e per questo compito ha assunto come avvocato Antonio Di Pietro, suo ex capo partito ai tempi dell’Italia dei valori. Il problema è che, stando a ciò che ha dichiarato, Lannutti dovrebbe portare in tribunale la Comunità ebraica di Roma che lo accusa di antisemitismo e che, però, ha anticipato i tempi: lo ha denunciato e ora Lannutti è indagato dalla procura di Roma proprio per diffamazione aggravata dall'odio razziale.

 

Cercando di difendere la sua candidatura, Lannutti ha rivendicato in un’intervista alla Stampa il suo profilo istituzionale: “Pur nella mia radicalità sono sempre stato rispettoso delle istituzioni”. Non è proprio così, il senatore del M5s ha definito “padrino” il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ed è stato condannato per diffamazione nei confronti della Consob e della Banca d’Italia.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali