Paradigma Paragone
Il lungo, barcollante viaggio verso la casa sovranista del senatore Gianluigi tradito dal ConteBis
Non che possano squarciare le tenebre della politica in questo imbuto di fine d’anno, o di fine legislatura chissà, né gettare luce nel pozzo nero del 2020 che la legislatura attende, ghignante. Ma le peripezie parlamentari di Gianluigi Paragone, con il loro tratto sghimbescio eppure circolare, evocano bene il grottesco della politica al tempo del populismo: una favola raccontata da un pazzo in un momento di ubriachezza. Paragone, concionante solitario y final sotto le luci fioche di Palazzo Madama, è uguale al Babbo Natale sbronzo e maledicente di Dan Aykroyd nel celebre film che va in onda ogni anno. C’è insomma qualcosa di istruttivo, chi l’avrebbe mai detto, nelle peregrinazioni politiche del senatore (tuttora, per ora) dei Cinque stelle. Dopo che è partita “in automatico” – ridicola pure questa, se non fosse probabilmente lesiva delle prerogative costituzionali – la procedura di espulsione prevista per il senatore reo di aver votato contro la legge di Bilancio. Lui, per il momento, resiste come una renna sul lago ghiacciato: “Un conto è cacciarmi, un conto è dire Paragone si dimetta”. Ha fatto il dito medio, “dovranno sudare, difenderò le mie ragioni facendo valere il programma”. Spavaldo, come quando suonava la chitarra elettrica (che era sempre meglio del talk-show, a dirla tutta). La cosa istruttiva, in questa querelle da condominio, è che Paragone invoca le origini, un purista del programma. “Vorrebbe dire che il programma elettorale è una burla”, dice. A dire il vero, era una burla anche il mitico Contratto di governo di cui il Conte Uno dei duri e puri non ha realizzato una sega, se non qualche danno. E che il programma dei Cinque stelle fosse, in sé, ampiamente una burla, Gigi Di Maio e anche Beppe Grillo lo hanno ampiamente dimostrato buttandosi sulla scialuppa del Conte Due. Solo Paragone ci ha messo un autunno per accorgersene.
Il substrato per così dire teoretico del suo stentoreo no alla manovra è questo: per l’ex direttore del giornale della Lega, poi fuggito dalla Lega, la legge di Bilancio non è abbastanza sovranista, cioè leghista. E poiché di sovranista al momento è rimasto soltanto Matteo Salvini l’unico approdo – teoretico s’intende, qui non si sospetta mai e poi mai che Babbo Natale cerchi una nuova renna da mungere – che gli resta è la Lega. A parte la Meloni (oddio! Hai visto mai la Meloni…). Il M5s gli piaceva per il sovranismo, più che per l’onestà-tà-tà. Ha detto così: “Ieri sera ero a una cena di attivisti, lì ci sono ancora persone che credono che l’Europa sia cattiva, ingiusta, generatrice di conflitti sociali”. “Non si può rinnegare quello che dicevamo e che Grillo diceva sull’Europa e sulla sovranità”. Per questo è pronto ad andarsene dai grillini traditori, con una giravolta che lo riporta – convergenze parallele, si sarebbe detto una volta – dalle parti della Lega. Lui che cronista addetto ai leghisti professionalmente era nato e cresciuto; lui che nel 2005 era il direttore agit-prop della Padania, poi in quota bossiana a Libero e poi la Rai, stessa quota. Finché per purezza d’animo con la Lega si sfanculò, o lo sfancularono (“è vero che sono stato cooptato in Rai su indicazione della Lega, ma quando ho rotto col centrodestra mi sono dimesso lasciando un contratto da dirigente a tempo indeterminato”, disse. Da segnalare a uno strizzacervelli, questo tic per il posto a tempo indeterminato considerato il più alto di tutti i valori non negoziabili).
Passò così al populismo anticastale in quota Cairo (Urbano), e si farà una reputazione anti sistema, anti liberista, anti europea e persino anti vaccinista. E adesso eccolo qui, a barcollare un’altra volta tra l’anti europeismo tradito di Di Maio e il sovranismo d’opposizione, ma senza andare all’opposizione, non si sa mai. Secondo Repubblica potrebbe fondare un gruppetto autonomo di sostegno e ricatto al governo, una manovraccia alla Renzi. Perché proprio adesso che forse lui – sempre teoreticamente parlando – potrebbe risolversi a tornare a casa, si ritrova invece lasciato sull’uscio, tradito alla vigilia di Natale: “Come si può pensare che io possa passare alla Lega quando la Lega si è innamorata di Mario Draghi”, l’hanno sentito gridare, per la strada. E par di vederlo, Babbo Natale Paragone, girare nelle viuzze attorno al Senato, ubriaco e bestemmiando, come un innamorato tradito: ché lo hanno rimasto solo, ’sti quattro cornuti.