Dieci ragioni per cui questo governo può durare più del previsto
Qualche tratto di normalità trasformato in una botta di fiducia, il voto in Emilia-Romagna, la riforma fiscale, la crisi del grillismo, i consensi della Lega. Spunti per rispondere a una domanda ricorrente nelle vacanze: ma il governo dura o no?
Nelle prossime ore, tra un panettone, un Mercante in fiera e una cena di Natale, chi ha passione e interesse per la politica, nelle settimane in cui la politica si prenderà qualche giorno di vacanza, si ritroverà spesso a porsi a tavola con gli amici una domanda semplice a cui rispondere non è facile. La domanda è grosso modo questa: ma questo governo dura o non dura? Gli ultimi due anni di legislatura ci hanno insegnato che le categorie della razionalità non sono lenti di ingrandimento che aiutano a decifrare sempre con esattezza la realtà della politica, ma per quanto possa essere spericolato fare previsioni su un governo debole che come tutte le creature fragili potrebbe inciampare per una qualsiasi ragione non del tutto razionale, potrebbe essere utile mettere insieme un po’ di buone ragioni per cui il governo è forse destinato a durare più di quanto si possa credere. La prima ragione riguarda la discesa verso il basso della soglia di successo ed essendo oggettivamente molto basse le aspettative rispetto al futuro di questo governo ci sono buone possibilità che un qualche tratto di normalità (per esempio rimettere a posto il guaio combinato su Ilva) possa trasformarsi in una botta di fiducia.
La seconda ragione riguarda i numeri della maggioranza e per quanto sia possibile che la Lega cominci a fare campagna acquisti tra i senatori grillini è altamente probabile che tra i parlamentari “responsabili” di Forza Italia scatti l’operazione “too big to fail”, troppo grandi per fallire, troppo grande oggi il gruppo parlamentare di Forza Italia per permettersi di non trovare un modo per aiutare il governo e permettersi il lusso di tornare a votare e vedersi dimezzare il numero dei propri deputati e senatori anche in vista dell’elezione del prossimo capo dello stato.
La terza ragione riguarda il grande non detto legato a un appuntamento considerato cruciale come il voto in Emilia-Romagna: si dice spesso che queste elezioni saranno “decisive” per il futuro del governo ma più passa il tempo e più sembra chiaro che le elezioni saranno decisive più per il Pd (c’è in ballo la leadership del segretario) che per l’esecutivo (perché mai due partiti sconfitti, Pd e M5s, dovrebbero far saltare tutto per fare quello che hanno evitato di fare facendo il governo lo scorso settembre?).
La quarta ragione riguarda una particolare formula chimica che esiste in politica in base alla quale i governi che tendono a cadere sono quelli composti da un partito forte che cerca di capitalizzare il suo consenso ai danni di un partito più debole. Ora, Emilia-Romagna o non Emilia-Romagna, vedete voi partiti forti all’interno del governo capaci di far saltare il banco per capitalizzare il proprio consenso? Risposta esatta.
La quinta ragione ha a che fare con l’asse eventuale sul quale potrebbe prendere forma la crisi di governo: l’asse tra i due Matteo. Secondo una sofisticata, diciamo così, scuola di pensiero, Renzi sarebbe disposto a staccare la spina al governo, all’inizio del prossimo anno, qualora Salvini lo dovesse aiutare ad avere una legge elettorale con una soglia molto bassa: tu aiutare a dare a me proporzionale con il tre per cento, io aiutare te a far cadere questo governo. E’ possibile che Renzi lasci intendere di avere in tasca questo asse, ma l’ex premier sa per primo che andare a votare presto sarebbe un danno enorme per il suo partito (oggi conta molto, domani chissà) ed è possibile che l’asse venga evocato per alzare il prezzo delle trattative con i suoi alleati di governo (e in ogni caso sarà interessante vedere cosa succederà il prossimo 20 gennaio quando il partito di Renzi sarà decisivo nel voto sull’autorizzazione a procedere contro Salvini sul caso Gregoretti: sì o no?).
La sesta ragione riguarda la possibilità che il governo di svolta – oltre che portare a casa qualche piccolo successo, come potrebbe essere una grande e non impossibile riforma dell’Irpef, e questa sarebbe la ragione numero sette che potrebbe dare al governo la linfa che oggi non ha – abbia a poco a poco la capacità di trasformarsi in uno spillo capace di avvicinarsi al palloncino salviniano, e se nei prossimi mesi il consenso dell’ex Truce dovesse continuare lentamente a scendere le possibilità che il governo trovi una ragione per andare avanti aumenterebbero inevitabilmente.
La ragione numero otto – la settima abbiamo detto che riguarda la trasformazione di una grande riforma sul fisco in un grande collante per il governo – ha a che fare con il potere e il fatto che in primavera ci sono almeno 400 nomine importanti da decidere all’interno delle aziende pubbliche rappresenta senz’altro un collante che permetterà al governo di superare agevolmente la fase della colomba.
La ragione numero nove riguarda la crisi inarrestabile del grillismo e per quanto sia presente all’interno del Movimento 5 stelle una quota di grillini disposti a far cadere il governo per ripartire da zero (da Buffagni a Paragone) è anche vero che buona parte del ceto dirigente del M5s avrebbe difficoltà a trovare un lavoro in caso di fine prematura della legislatura e per questo viene complicato immaginare che i parlamentari del M5s vogliano perdere il privilegio di essere retribuiti come deputati o senatori della Repubblica per acquisire il diritto di essere retribuiti con il reddito di cittadinanza.
La ragione numero dieci riguarda non tanto le caratteristiche della maggioranza ma quelle dell’opposizione e fino a quando Matteo Salvini sui temi dell’Europa e dell’euro continuerà a fare quattro passi indietro dopo averne fatto uno in avanti, continuerà a dare motivo a un pezzo di Italia maggioritario forse non solo in Parlamento di fare qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi cosa, pur di non regalargli pieni poteri. Il governo è debole, lo sappiamo, ma quando in politica i governi sono deboli di solito cadono più per ragioni legate alla casualità che alla volontà. E di fronte a un Salvini che ogni giorno offre una ragione per ricordare la sua non presentabilità augurarsi che la politica scelga di ritardare il più possibile il conferimento dei pieni poteri non è forse sufficiente per disinnescare il salvinismo ma è certamente necessario. Chissà che il Natale non porti consiglio.