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Italia Viva salverà Salvini? Glielo abbiamo chiesto

Valerio Valentini

Il 20 gennaio la giunta per le immunità sarà chiamata a esprimersi sull’autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro dell'Interno sul caso Gregoretti

Roma. Per lo più svicolano, eludono la risposta, s’appellano alla necessità di rispettare le norme del diritto e della prassi parlamentare. “La verità è che l’orientamento del partito non è chiaro al momento perché, semplicemente, non c’è alcun orientamento del partito”, sorride Giuseppe Cucca, l’unico disposto a parlare tra i tre senatori di Italia viva – gli altri due, Francesco Bonifazi e Nadia Ginetti, assai reticenti sul tema – che fanno parte di quella giunta per le immunità che il 20 gennaio sarà chiamata a esprimersi sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini sul caso Gregoretti. E del resto lo stesso Matteo Renzi non ha messo fretta, ai suoi, e nel salutarli per le vacanze natalizie li ha invitati a prendersi tutto il tempo necessario per studiare le carte. “Evitiamo di fare congetture”, mette le mani avanti il capogruppo di Iv al Senato, Davide Faraone. “Il paradosso è che l’accusa di ambiguità viene rivolta a noi, mentre su politiche migratorie e rapporto tra politica e magistratura è in corso la sagra dell’incoerenza”. Ci arriviamo.

 

Prima, però, il giudizio di merito. “Appunto, il merito della questione è quello che ci interessa”, dice Cucca. “Da una lettura superficialissima dei documenti a nostra disposizione, a me sembra che la situazione sia perfino peggiore di quella della Diciotti. Lì, se non altro, c’era una ampia testimonianza ufficiale su un coinvolgimento dell’intero governo. Nel caso della Gregoretti questa collegialità non pare attestata, dalle carte. Dunque così, su due piedi, mi viene da dire che l’esito del nostro voto sarà scontato, dato che sulla Diciotti ci eravamo convintamente pronunciati a favore dell’autorizzazione a procedere. Ma, ripeto, prima dobbiamo approfondire”. E insomma tutto sembra ovvio, ad ascoltare le parole di Cucca. Che però cozzano coi tatticismi renziani, la ritrosia di Bonifazi che interpellato si eclissa dietro gli auguri di Natale (“Nessuna dichiarazione”), la tentazione che in tanti attribuiscono all’ex premier: saltare il fosso, salvare Salvini e porsi come pivot di un possibile ribaltone. “Il giudizio politico e umano sulle politiche migratorie di Salvini – ribatte allora Faraone – l’ho già dato, personalmente, salendo a bordo della Diciotti e della SeaWatch, dormendo a bordo, vedendo con i miei occhi che quelle persone erano solo dei poveri disperati in cerca di futuro migliore. Ma il giudizio che siamo chiamati a dare, ora, è di natura giudiziaria, poiché ha a che fare con due richieste opposte, quella di un processo e quella di una richiesta di archiviazione, e non può prescindere da un’analisi approfondita delle carte. Se il caso si dimostrerà analogo a quello della Diciotti, allora non potremmo che agire come abbiamo già fatto all’epoca. E qui, appunto, veniamo all’incoerenza”, prosegue Farone. “Quella di Di Maio, che dopo aver sottoscritto la politica dei porti chiusi e dei decreti sicurezza, dopo avere rivendicato la compartecipazione al sequestro dei migranti sulla Diciotti e avere preso le difese di Salvini al Senato nel marzo scorso, ora ha già emesso la sua sentenza di condanna per opportunità politica. Poi c’è l'incoerenza di Salvini: che fa appello al garantismo ma è stato il primo ad avere agitato le manette un giorno sì e l’altro pure, per anni, anche da ministro dell’Interno. Non era Salvini a dire che Carola Rackete andava ‘sbattuta in galera’? Non era lui a invocare che si buttasse via la chiave a ogni caso eclatante di cronaca nera? Ecco, lezioni di garantismo da Salvini, no. E neppure, concedetemi, dagli amici del Pd. In una certa sinistra c’è la vecchia abitudine a volere sconfiggere l’avversario per via giudiziaria. A noi di Iv questa idea non appartiene: vogliamo sfidare Salvini sul piano politico. Noi, ad esempio, i decreti sicurezza vogliamo modificarli nel profondo, e per davvero, checché ne pensi Di Maio”.

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