Roma. L’uno diceva di non voler appartenere “alla sinistra che si accontenta di testimoniare”, mentre l’altro faceva sfoggio d’ottimismo, perché “dall’Emilia-Romagna partirà la riscossa del centrosinistra anche a livello nazionale”, ed entrambi lasciavano così intravvedere squarci di futuro ma anche l’eterno ritorno di una voglia e d’una tentazione che da venticinque anni avvolge a intermittenza l’Italia politica. E infatti tre giorni fa, da un palco di Imola, il sindaco di Milano, Beppe Sala, e il presidente dell’Emilia, Stefano Bonaccini, questi due amministratori ben voluti e di sinistra, hanno comunicato ciò che sempre più tutti capiscono. E cioè che il destino della legislatura dipende dalle elezioni locali – da quelle emiliane del 26 gennaio e dalla tornata successiva – e che dalla dimensione locale, verrebbe da dire municipale, si affaccia un’ipotesi di rinnovamento del centrosinistra come dice spesso il sindaco di Firenze, Dario Nardella. E d’altra parte ogni qual volta in Italia si paralizza il sistema centrale ecco che tornano le città e le regioni, modello di buon governo e di concretissime vaghezze, l’Italia di quei sindaci che eletti con il maggioritario sembrano gli unici a coltivare, per prossimità, connessioni sentimentali e interessi tangibili. Matteo Renzi fu il sindaco presidente del Consiglio, come lo sarebbe voluto essere Walter Veltroni prima di lui, e nel 1993 la crisi della Prima Repubblica oltre a Berlusconi trovò il suo sbocco naturale nella primavera dei sindaci, Bassolino a Napoli e Rutelli a Roma, Cacciari a Venezia e Bianco a Catania.
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