Roma. Otto mail, tre paginette del contratto di governo, due lanci di agenzia. Sta tutta qui la memoria difensiva sul caso Gregoretti approntata alla bene e meglio e presentata ieri dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini alla Giunta del Senato. Il tutto accompagnato da una diretta Facebook del leader leghista: “Ho fatto il conto in queste vacanze, ho inchieste e processi aperti e se non mi conoscessi mi reputerei un delinquente. Possono processarmi e incarcerami, non me ne può fregare di meno”. Ma le pagine redatte dall’avvocato Giulia Bongiorno non rispondono nel merito a nessuna delle domande che davvero interessano il voto in Giunta, né provano – come vorrebbe fare Salvini – il coinvolgimento di altri ministri nella decisione di non fare sbarcare i 131 migranti rimasti a bordo della nave della Guardia costiera tra il 26 e il 31 luglio 2019. I senatori non dovranno stabilire se la decisione dell’ex ministro Salvini di bloccare tutti a bordo – e su cui il tribunale dei ministri di Catania chiede di indagare – sia stata presa di concerto con il resto del governo, ma se sia stata funzionale a tutelare un interesse dello stato. Per dimostrarlo, l’ex vicepremier si limita ad autocitarsi, ricordando nella memoria difensiva una sua audizione del novembre scorso (quindi successiva al caso Gregoretti, che risale a luglio) davanti al comitato parlamentare per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, in cui Salvini stesso fece un semplice resoconto delle misure intraprese per combattere l’immigrazione clandestina. E’ debole anche la seconda “prova” annoverata tra gli allegati: l’ex ministro menziona un rapporto del direttore generale del dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza (giugno 2018) che mette in guardia su possibili utilizzi della tratta dei migranti per trasportare jihadisti in Italia. Un avvertimento generico, mai confermato peraltro da nessuna indagine giudiziaria.
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