C’è l’ex ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, in procinto di formare un nuovo gruppo ambientalista alla Camera (dovrebbe chiamarsi “Eco”) in cui potrebbero approdare i prossimi fuoriusciti grillini. Poi c’è Civati, che ci riprova dopo il risultato infelice delle europee, e lancia un nuovo partito ecologista. Ma c’è anche il Pd, che nel nuovo statuto inserisce la sostenibilità ambientale, in linea con gli obiettivi di Agenda 2030 delle Nazioni Unite. E il M5s che, se anche spesso lo dimentica, tra le sue stelle ospita ancora quella dell’ambiente. Il campo ambientalista non è mai stato così fitto. Sono in molti, tra partiti e leader politici, a scommettere sul voto verde, nella speranza di intercettare l’entusiasmo delle migliaia di giovani italiani che nel 2019 sono scesi in strada a intervalli regolari per protestare contro il cambiamento climatico. Un fermento ecologista elogiato anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante discorso di fine anno. Ma quanto vale, in termini elettorali, il voto verde? “In Italia c’è uno zoccolo duro di ambientalisti che sia aggira attorno al 2 per cento degli elettori”, dice Antonio Noto, presidente di Noto Sondaggi. “Il voto ecologista in senso stretto, essendo così marginale, è quasi ininfluente. Nel dibattito pubblico l’ambientalismo è quasi ignorato. E’ vero, ci sono anche grandi partiti che sposano la causa ambientale, ma è solo greenwashing”.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE