Schiacciato tra Conte e Dibba, ambizioni e rivolte. “A fine febbraio farò una mossa”, ha detto ai suoi collaboratori. Un altro Cincinnato? Strategie e convulsioni
Roma. Conte a sinistra e Dibba a destra, circondato da uno stuolo di mezzi leader che vogliono fagli le scarpe, da Fico e da Morra, da Fioramonti e da Taverna, attorcigliato com’è nel garbuglio litigioso del M5s, ecco che Luigi Di Maio un po’ fa spallucce e un po’, ogni tanto, dice ai suoi: “Alla fine di febbraio lascio la guida politica. E vediamo come se la cavano”. E insomma questo leader di scarse lettura, ma di prensile intelligenza, autodidatta eppure intuitivo come Calandrino, il furbo del contado, gioca a pari o dispari: un po’ conta sulla natura arcitaliana dei suoi parlamentari (che se cadesse il governo non avrebbero più uno stipendio) e un po’ sogna la mossa eroica, il passo di lato. Non si paragona a Cincinnato – come ha fatto Conte – ma solo perché lui non è professore.
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