In Rai si divide il Pd e si toglie potere a Salvini per darlo a Meloni
Oggi si voteranno le proposte dell’amministratore delegato Fabrizio Salini: Stefano Coletta alla direzione di Rai 1, Ludovico Di Meo alla guida di Rai 2, Silvia Calandrelli a quella di Rai 3
La Rai divide il Pd. Oggi si voteranno le proposte dell’amministratore delegato Fabrizio Salini. Stefano Colletta alla direzione di Rai 1 e dell’intrattenimento prime time, Ludovico Di Meo alla guida di Rai 2 e della direzione cinema e serialità, Silvia Calandrelli a Rai 3 e alla direzione Cultura. Ebbene gli uomini più vicini a Nicola Zingaretti ieri erano sparati per votare contro queste nomine, anche se sia Coletta che Calandrelli sono di area. Il gran mediatore Dario Franceschini invece puntava a votare a favore. I primi contestavano il fatto che non ci fossero anche le nomine dei nuovi direttori delle testate giornalistiche. A Zingaretti e compagni interessano soprattutto quelle, perché a loro giudizio Tg1 e Tg3 sono totalmente appiattiti sui Cinque stelle mentre il Tg2 è, così sostengono, a “trazione leghista”. Il braccio di ferro interno al Pd è durato tutto il giorno. A sera però sembrava profilarsi una soluzione: l’astensione. Un’astensione che però non farà seppellire l’ascia di guerra del Pd che è in conflitto con Salini.
Lo sgambetto della Meloni a Salvini. Con la possibile promozione a direttore di Rai 2 di Ludovico Di Meo, da sempre vicino alla leader di Fratelli d’Italia, gli equilibri in Rai potrebbero cambiare, per quanto riguarda il centrodestra. Il partito di Meloni esprime già un consigliere d’amministrazione, Giampaolo Rossi, e se la maggioranza di governo dovesse riuscire nei prossimi mesi a mandare via il presidente della Rai in quota Lega, Marcello Foa, che è uno dei due membri del cda Rai espressione della Lega, il partito della Meloni avrebbe più peso dei salviniani a viale Mazzini. Che ci sia una comunione di intenti tra un pezzo dell’opposizione e l’intera maggioranza per ridimensionare il salvinismo in Rai?
Il Pd intanto si divide anche sul partito che verrà. Molti dirigenti di primo piano del Partito democratico sono stati presi alla sprovvista dalla svolta di Nicola Zingaretti. Motivo per cui l’ordine di scuderia lanciato ieri dal segretario è quello di non parlare dell’argomento durante la due giorni di Greccio all’Abbazia di San Pastore. Intanto tra una tavola rotonda e un dibattito si attende senza grande interesse la verifica. Già, perché per il Partito democratico la vera verifica sarà quella dell’Emilia Romagna e gli ultimissimi sondaggi giunti al Nazareno non sono confortanti.
Revoca sì revoca no? L’altro giorno sembrava che il Pd fosse deciso a seguire Luigi Di Maio, ma ieri all’Abbazia si respirava tutt’altra aria. E la prudenza la faceva da padrona. Nicola Zingaretti, poi, è arrabbiato con chi dice che la sua svolta ha come obiettivo quello di far rientrare nel Partito democratico i transfughi di Leu. “I nostri interlocutori sono le sardine”, ha spiegato ai suoi il segretario del Pd. Per Zingaretti infatti l’importante è agganciare quel movimento “perché i nostri voti sono lì”.