Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni (foto LaPresse)

“Meglio le sardine del partito di mia figlia”. Parla papà Borgonzoni

Marianna Rizzini

Giambattista Borgonzoni ci dice perché in Emilia-Romagna bisogna votare contro la Lega

Roma. La storia delle elezioni regionali-ordalia (Emilia-Romagna, 26 gennaio, con giudizio non divino ma dell’urna sul salvinismo arrembante) e la storia nella storia – storia collaterale di padri e figli. Trattasi infatti di capire come Giambattista Borgonzoni, architetto con esperienza nel restauro di castelli e nelle ristrutturazioni di edifici industriali e commerciali, figlio del noto pittore realista-espressionista Aldo e padre di Lucia, candidata leghista alla guida della regione contro il governatore pd uscente e ricandidato Stefano Bonaccini, sia diventato, pur non candidato, uno degli uomini di cui si parla alla vigilia della contesa elettorale. Partendo dalla fine, c’è la circostanza che vede Borgonzoni padre, da sempre elettore del centrosinistra e da un anno iscritto al Pd quasi per riflesso protettivo (“ho visto quello che un tempo era un grande partito ridotto a una specie di brutto anatroccolo”, dice), regalare “come gesto simbolico” sei opere del padre pittore a Mattia Santori, cofondatore e volto mediatico delle Sardine, alla cui prima manifestazione Giambattista è andato. Partendo dall’inizio (polemiche già in corso da tempo), c’è la grancassa attorno alla narrazione del caso Borgonzoni (padre e figlia) in stile parenti-serpenti, da Borgonzoni padre molto contestata: “Soltanto in una società di replicanti i discendenti e gli ascendenti debbono avere le stesse opinioni e mi auguro al contrario che il pluralismo continui a circolare in Italia”, ci dice Giambattista, affermando di aver sempre fatto dichiarazioni positive sulla figlia, “donna capace, visto anche che nella Lega deve difendere l’indifendibile”. 

 

 

Si augura, come padre, “che Lucia becchi soltanto una benevola lavata di capo e magari, se vince, impari a governare l’Emilia, gioiello che merita rispetto”. In mezzo c’è la storia del nonno pittore, cresciuto ai tempi di Renato Guttuso e Giorgio de Chirico, e tra guerra e Dopoguerra.

 

E mentre il nonno – onorato da critici d’arte (da Carlo Bo a Gianni Celati ad Arturo Carlo Quintavalle a Francesco Arcangeli), conosciuto all’estero (da Zurigo a Mosca a Londra a Parigi) – rinnova la sua presenza, con le sue opere, nell’Archivio in memoria che Giambattista Borgonzoni ha messo in piedi a Bologna e nel “Catalogo generale delle opere pittoriche” (ed. Allemandi) curato dal già direttore del Mar di Ravenna Claudio Spadoni, elogiato da Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, dai Musei Vaticani e dall’ex direttore della Reggia di Caserta Mauro Felicori, la nipote candidata Lucia è invece alle ultime battute di una campagna elettorale dall’esito ancora incerto, in cui si continua a parlare soprattutto di Matteo Salvini, molto presente fisicamente in borghi, piazze e città. Un Salvini che Borgonzoni padre non voterebbe mai e poi mai (“e non perché ci sia un reale pericolo di fascismo”, dice, “ma perché con lui assistiamo all’affermazione mediatica e politica del falso percepito che diventa vero, ed è incredibile quanto risulti simile al ministro della Paura, personaggio di Antonio Albanese, comico a cui il bolso ex ministro dell’Interno, con quel fraseggio angosciante e ricorrente, dovrebbe quasi quasi pagare le royalties”).

 

 

Da che parte stare: è questione che nell’Emilia-Romagna fronte di guerra Aldo Borgonzoni, da ragazzo e da artista, ha affrontato e visto affrontare in tempi in cui “arte e ideologia non potevano essere disgiunte, anche in mezzo al sangue”, racconta suo figlio: “Mio padre si unì alla Resistenza, a differenza del suo grande amico, il fascistissimo scultore Domenico Rambelli, che lo ritrasse in una scultura bronzea che io poi ho fatto mettere sulla tomba di papà. Ma spesso, in quel periodo, la decisione di aderire a Salò o di darsi alla macchia con i partigiani non era sempre un gesto di consapevolezza, ma era anche in parte frutto del caso, delle frequentazioni, delle circostanze”. E però Giambattista, figlio di un padre che conosceva sì Giorgio Morandi, Guttuso e De Chirico ma anche Palmiro Togliatti, della politica e dell’arte pensa ancora “che debbano parlare agli ultimi, cosa che il Pd purtroppo non riesce più a fare”, di fronte a una destra “che mette l’accento sulla paura”. E se il pittore Aldo si era immerso – ritraendola – nella realtà contadina, compresa quella delle mondine della Bassa, la “smania sovranista del centrodestra” preoccupa Giambattista “non meno della litigiosità del centrosinistra: su gambe forti di governo e opposizione deve reggersi un paese, cosa che oggi non mi pare avvenga. Anzi rischieremmo di ritrovarci, se i sovranisti italiani prendessero ancora più piede, in una specie di riunione di condominio governata da un amministratore russo, cinese o americano”. Poi c’è la storia del nonno, del padre e della nipote: la nipote Lucia, la candidata, che ricorda nelle interviste l’antenato artista e il padre Giambattista che, racconta, “scrive alla figlia lettere per invitarla a eventi e inaugurazioni” (tra cui un giardino bolognese in memoria di Aldo, e “a cui però Lucia non presenzia”). Ma il lessico famigliare – con “iato”, dice Giambattista, “tra dichiarazioni e azioni” di sua figlia – si interseca inesorabilmente, in questo caso, con il lessico politico, sullo sfondo di un’Emilia-Romagna-ufo, oggetto misterioso che vola al di sopra dello strano governo Conte II. E’ una questione economica, lo slittamento verso il leghismo di una parte della regione rossa per antonomasia? O è una questione di “falso percepito”? “I dati strutturali pro capite della nostra regione sono paragonabili a quelli dei migliori länder tedeschi”, dice Borgonzoni padre, che sta scrivendo un libro su arte, ideologia e violenza nel Novecento ed è convinto “che non siano gli indicatori economici ad aver messo in crisi il popolo di sinistra dell’Emilia”, ma che “in Emilia il Pd abbia, da un lato, come dicevo, smesso di occuparsi degli ultimi. E, nella totale mancanza di futuro, magari poi gli ultimi vanno a nutrirsi di illusioni vendute da chi, come Salvini, dall’altro lato, dà corpo alle peggiori paure in tempi in cui l’ascensore sociale è rotto”. Dice “viva Bonaccini presidente”, Borgonzoni padre, critica il Pd litigioso ma anche l’ex premier e segretario Matteo Renzi: “Se alla battaglia di Waterloo cade metà del tuo esercito forse devi chiederti perché, invece di destrutturare il partito”, è la visione del padre della candidata Lucia (“anima gentile del salvinismo”, così la definisce). In caso di vittoria, da padre, le “manderebbe immediatamente un telegramma”, sperando che “possa comunque prendere in mano la regione come si fa con un bambino, senza cedere al vento sovranista mondiale, che soffia dalla Gran Bretagna della Brexit all’America di Donald Trump”. Ma è il caso di parlare di padri e figli, in campagna elettorale? “Ho più volte chiesto a Lucia di non entrare nel privato per una questione di stile, ma se devo difendermi da accuse false non ho nulla da temere”, dice Giambattista . E nell’Emilia modello politico e modello psicologico (per come la vedeva Edmondo Berselli), politica e psicologia – a partire dal caso Bibbiano, luogo fisico ma ancora di più simbolico – corrono lungo l’ultimo miglio di campagna elettorale.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.