Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini si ammanetta

Salvatore Merlo

Voto surreale in Giunta per le autorizzazioni. Al circo si sottraggono solo Forza Italia e Fratelli d’Italia

Roma. Mostra il petto, pretende che si voti subito per mandarlo a processo, quando però la sinistra non si presenta in Aula allora chiede ai suoi senatori di votare loro contro di lui per mandarlo ai ceppi. E così, mentre si paragona a Silvio Pellico e dice che “dovranno trovare un Tribunale molto grande perché sarà un processo contro il Popolo italiano”, lancia pure un sito internet: digiunopersalvini.it. Il che, considerate le sue abitudini alimentari, tra la salama al sugo di Ferrara e i tortellini al ragù di Bologna che si è sparato nelle ultime settimane, tutto sommato non è nemmeno una cattiva idea. “Siamo in zona ‘Twilight’”, dice Lucio Malan, ridendo. “Ve la ricordate la serie televisiva, no? Oltre i confini della realtà”, dice il senatore di Forza Italia davanti alla porta della Giunta per le autorizzazioni. “Se la politica usa strumentalmente la giustizia, non ci si può lamentare se poi la giustizia fa politica”. 

 

 

“Siamo gli unici coerenti”, dice Malan. E infatti Forza Italia e Fratelli d’Italia votano contro l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini nel caso Gregoretti, com’è normale che sia, mentre la Lega vota per mandare il suo capo a processo e la sinistra con i Cinque stelle non si presentano, disertano quell’auletta dalla quale nei decenni sono passati tutti i grandi imputati d’Italia, da Andreotti a Berlusconi. “La seduta è illegittima”, dice il capogruppo del Pd Andrea Marcucci. Ma la verità è che, in questo gioco di tattiche surreali che s’intrecciano intorno alla vicenda della nave Gregoretti, il nebuloso merito non importa quasi a nessuno (compreso il ruolo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei ministri grillini ai tempi gialloverdi: davvero Salvini decise tutto da solo? E’ mai credibile?). Quello che conta, per tutti o quasi, sono le elezioni del 26 gennaio in Emilia-Romagna. La resa scenica. Salvini ci voleva arrivare con un pronunciamento a lui contrario, e se avesse potuto – ma purtroppo non si può – si sarebbe pure fatto mettere le manette, la camicia a righe e la palla al piede: “Scriverò le mie prigioni”. Sai quanti like su Facebook, deve avergli suggerito il social manager Luca Morisi. “E noi a questa sceneggiata non partecipiamo”, esclamava allora Davide Faraone, il capogruppo renziano, mentre usciva lunedì sera dalla stanzetta al primo piano di Palazzo Madama dove aveva incontrato gli altri rappresentanti della maggioranza. Sentendo parlare della riunione di maggioranza, i cronisti pensavano ingenuamente che i suoi ideatori avessero messo a punto un congegno del tutto inedito, una contromossa sensazionale. Invece no. “Non votiamo. Boicottiamo”.

 

 

Ma cosa? E davvero tutte queste persone, di destra e di sinistra, che sono maggiorenni e apparentemente anche di media intelligenza, sembrano convinti che il voto della commissione – come se poi non si dovesse rivotare nell’Aula del Senato fra trenta giorni (il voto della giunta è privo di conseguenze) – possa avere qualche effetto elettorale. Ciascuno di loro lunedì dava infatti l’idea di interessarsi agli elettori come un socio della società per la protezione degli animali può interessarsi agli animali. Con quel riguardo che sottende implicita inferiorità. In pratica li considerano dei deficienti, dei baluba. Salvini è convinto che la vecchina di Rocca San Casciano adesso non voterà più Stefano Bonaccini solo perché la giunta si è espressa per mandarlo a processo (con i voti della Lega). E il centrosinistra, che lunedì non ha partecipato al voto – ma non ha dubbi su come votare in aula fra trenta giorni – pensa di avere impedito una geniale e machiavellica mossa propagandistica. Ah, tu vieni sotto con la scimitarra? E io ti frego con il pepe negli occhi! Una pantomima di cenere. Un uso così insensato di un’istituzione formalmente rispettabile come la giunta per le autorizzazione forse non si era mai visto.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.