Così Di Maio, incartandosi da solo, mette il M5s nelle mani di Conte
Se l’unico programma certo è “restare al governo”, sarà il premier a riempire il vuoto del grillismo. Il Pd già gongola
Roma. Il pomeriggio l’ha trascorso nel suo ufficio di Palazzo Chigi, al lavoro. Come se niente fosse, a giudicare dalla serenità con cui buona parte del suo staff, inviato al Tempio di Adriano ad assistere al gran commiato di Luigi Di Maio, rassicurava sulla tenuta del governo. “Non cambia niente, nessuna ripercussione”, ha a sua volta tranquillizzato lui stesso. Perché in fondo Giuseppe Conte sa bene che a Di Maio, ora che ha lasciato le redini del M5s, non resta che il ruolo da ministro degli Esteri. E’ quello a cui l’enfant prodige di Pomigliano ora resterà aggrappato per sopravvivere, consigliato da chi, nella sua ristretta cerchia di fedelissimi, lo esorta a sfruttare questa carica istituzionale per costruirsi un pedigree spendibile in futuro. E non a caso a metà mattinata, il sottosegretario grillino ai Trasporti Roberto Traversi liquidava con una battuta i dubbi del suo omologo al Viminale, il dem Matteo Mauri che chiedeva lumi sulle intenzioni di Di Maio: “Se resta ministro, vuol dire che continuerà a fare il bravo”.
E infatti lui ha escluso colpi di testa. “Mi riposo un po’”, ha detto Di Maio ai facilitatori, riuniti nel pomeriggio per un vertice che è rimasto a lungo sospeso nel generale stordimento, visto che la riunione precedente, quella di lunedì scorso, s’era conclusa a tarda sera con una mangiata collettiva di cannoli siciliani, e nessun accenno alla decisione irrevocabile già maturata da settimane. E anche coi suoi ministri, riuniti a Palazzo Chigi in mattinata, è rimasto piuttosto elusivo sulle sue intenzioni future: “Neppure lui sa come evolveranno le cose”, dice uno di loro. “Ci ha escluso che si ricandidi agli stati generali, anche perché non è lì che si deciderà il nome del nuovo capo politico”, spiega Luca Frusone, uno dei componenti della nuova segreteria che ha avuto modo di parlare direttamente con Di Maio. “Ma contribuirà a elaborare una proposta di rilancio del M5s”, spiega Andrea Cioffi, altro facilitatore.
E però, Conte sa bene che il progetto migliore per deputati e senatori grillini è l’unico che assicura a tutti altri tre anni nel Palazzo: restare al governo. E dunque, in via più o meno formale, toccherà a lui dover riempire il vuoto che Di Maio ha lasciato. “Luigi ha aperto a Conte un’autostrada senza possibilità di revoca”, se la ride, beffardo, Gianluigi Paragone. “Di certo non ci siederemo al tavolo a trattare di rimpasto o di nomine con Vito Crimi”, confermano gli esponenti di governo del Pd, sapendo che è col premier che dovranno confrontarsi. E forse un po’ rallegrandosene, consci che a fare un passo di lato non è solo un leader, ma il suo intero partito. D’altronde Di Maio, a furia di fare capriole s’è incartato da solo: e potrà anche togliersi la cravatta, rilanciare sulle battaglie storiche del M5s ora che non è più lui a doverle vincere, ma al dunque sarebbe costretto a segare il ramo su cui è seduto.
Se n’è accorto anche Matteo Salvini, il quale pure aveva sperato che le dimissioni dell’alleato d’un tempo potessero riaprire i giochi del governo. E infatti alle dieci di mattino aveva inviato ai suoi la commessa del silenzio: “Sul passo indietro di Di Maio, non attacchiamo né lui né il M5s. A chi vi chiede un commento, dite: ‘E’ il risultato delle scelte di Grillo che ha deciso di allearsi con il Pd. E’ la prova che chi va con il Pd muore”. E i parlamentari del Carroccio già vagheggiavano possibili ritorni di fiamma gialloverdi. Sennonché, a tarda sera, lo stesso Salvini tornava sui suoi passi, spiegando che la sua prudenza era finalizzata solo a drenare i voti degli elettori grillini delusi in vista delle regionali emiliane di domenica.