Di Maio avviato all'insignificanza e all'oblio
Del grillismo resterà solo un sistema di finzioni
In un vecchio film di Frank Capra, Mr. Smith va a Washington (1939), un giovanotto di provincia viene fatto eleggere al Senato americano da alcuni politicanti corrotti, che sperano di sfruttare la sua (supposta) ingenuità. Questa storia ricorda la parabola di Luigi Di Maio, con la differenza che nel film l’eroe finisce per smascherare i politicanti, mentre nella realtà il giovanotto di Pomigliano d’Arco non ha smascherato nessuno e anzi è stato lui stesso a esibire, per così dire, la sua non eccelsa qualità di politico.
La vicenda delle sue dimissioni da leader del M5s mette malinconia. Ecco uno che viene dalla provincia napoletana e, nominato capo di un partito di maggioranza relativa in Parlamento, ascende in poco tempo alle massime cariche governative (ministro del Lavoro e vicepresidente del Consiglio nel Conte I, ministro degli Esteri nel Conte II, ohibò), si siede allo stesso tavolo dei potenti della Terra e sembra proiettato verso un posto nella storia contemporanea – e invece, verosimilmente, ha iniziato il cammino verso l’insignificanza e l’oblio. D’altra parte, in questa parabola c’è una logica: un tempo la promozione politica si conquistava con militanze di lunga durata, ferrea determinazione, capacità manovriera e un inevitabile realismo nelle relazioni umane. Se i candidati avevano studi alle spalle e magari idee, tanto meglio. Se poi la dea Fortuna assisteva i prescelti, ecco che si potevano avere dei leader. Tutte qualità che non sembrano abbondare in Di Maio, con l’eccezione, naturalmente, della Fortuna. Che però, come è noto, è la più capricciosa delle dee.
Ma Di Maio non è un’eccezione. Tra i dirigenti del M5s è difficile trovare qualcuno che spicchi per brillantezza, sagacia, visione o qualsiasi altra dote politica. Una platea di brave persone, probabilmente, come me, come te, come voi. Mediocremente buone e mediocremente cattive. Un’assenza così totale di carisma, tra loro, che non ha eguali nella storia politica recente. E’ vero che si potrebbe dire lo stesso degli altri partiti. Ma mentre in questi la mediocrità è frutto della scomparsa dei vecchi modelli politici (Pd) o semplicemente del tempo e degli affanni giudiziari, che consumano gli antichi carismi (Berlusconi), la mediocrità del personale a cinque stelle è il prodotto di un modello preciso. E’ una scelta deliberata, che ha permesso al M5s di nascere e affermarsi e oggi lo condanna alla crisi.
Tra i grillini, il carisma spetta solo a Grillo. L’altro co-fondatore, il compianto Casaleggio Sr, ne aveva così poco, che compariva raramente sui palchi e nei comizi dove il comico suo sodale furoreggiava. Ma l’idea di fondo dei due era esattamente fondare un movimento anti-carismatico, virtuale, teorico, in cui il personale eletto in qualche competizione locale o nazionale fosse solo di facciata e si limitasse a eseguire le direttive dei capi – i quali non sono mai stati troppo interessati a questioni all’antica come linee politiche, principi, concezioni, scelte di campo ecc., ma quasi esclusivamente alle procedure adatte al mantenimento del loro potere. E ciò spiega perché i grillini siano passati con grande indifferenza dall’alleanza con i sovranisti di destra a quella con i globalisti di centrosinistra, e anche perché si siano scelti un presidente del Consiglio di cui non si conoscono idee e strategie, salvo il mantenimento del proprio potere al governo.
Certo, ci sono gli slogan: l’ambiente, la giustizia, l’onestà, la lotta alla povertà ecc. Ma sono etichette morali che possono essere attaccate a qualsiasi valigia. Così, quelle che restano sono solo le procedure: gli statuti bislacchi, Rousseau, le candidature telematiche, i contributi da versare a Casaleggio Jr, gli stati generali, i facilitatori. Persino “capo politico” è una definizione meramente procedurale, connotativa, priva di un significato preciso. Perché non chiamarlo leader, segretario, coordinatore? Per marcare le differenze con il vecchio sistema, si dirà. Oppure, perché esistono già un “capo carismatico” (Grillo), un “capo comunicatore” (Casalino”) e un “capo vero” (Casaleggio)?
Nulla era più adatto della rete a incorniciare questo sistema di finzioni. Certo, la rete è reale, potente, pervasiva, la grande buccia opaca del nostro mondo, la nostra gabbia globale. Ma quello che c’è dentro la rete non è immediatamente oggettivo, vero, reale – con buona pace del realismo filosofico. Lo è se i padroni del web e gli utenti vogliono che lo sia. Universo di verità e falsità, mezze verità e mezze finzioni, complotti e teorie del complotto, democrazia e manipolazione, totalitarismo e anarchia ecc. ecc. E questo vale per i social, gli influencer, i cinguettii e tutte le diavolerie inventate con ritmo implacabile in cui tutti siamo immersi, padroni e schiavi al contempo.
Ed ecco la vera, grande intuizione di Casaleggio Sr (tutte le altre, come i video fantascientifici sono bufale avveniristiche e New Age, buone per gonzi e nerd): la realtà della rete può assorbire la realtà politica, un partito virtuale può – sotto certe condizioni – essere più potente di uno materiale. Non siamo ai bitcoin, ma poco ci manca. E milioni di connazionali frustrati e incazzati ci hanno creduto. Alcune migliaia si sono iscritti e /o candidati. Alcune centinaia di attivisti sono stati eletti e hanno toccato il cielo con un dito (“Ah, se la mamma mi vedesse ora!”). C’è da essere ammirati davanti a tanta riuscita. Non mi risultano esperimenti simili al mondo, in politica – FB, Twitter ecc. possono manipolare le elezioni, ma non sono ancora politica. E benché io pensi che il modello Casaleggio-M5s stia franando, il seme è stato gettato. Tutto questo potrebbe rinascere su scala ancora più ampia, perché no. Ma ora riflettiamo: perché il modello Cinque stelle sta franando?
Comincio a rispondere con un apologo cinese. Nel libro che porta il suo nome, il filosofo Chuang-Tzu racconta di aver sognato, una notte, di essere una farfalla. Ma al risveglio si chiede: sono io che l’ho sognata o quella ha sognato me? Io, se facessi lo stesso sogno, risponderei così: Chuang-Tzu è la farfalla, e quindi la farfalla è Chuang-Tzu. Nel mondo di P.K. Dick – quello di Blade Runner – la realtà virtuale e quella reale si equivalgono, si risolvono l’una nell’altra. Ma se è così, la realtà politica non può che irrompere nella politica della rete. Tradotto in parole povere, questo significa semplicemente che, se voleva durare, il totalitarismo digitale sognato da Casaleggio doveva essere messo alla prova della politique politicienne. E qui il fallimento è stato totale.
Puoi raccontare quanto vuoi che ognuno vale uno, che destra e sinistra sono idee del passato, che hai sconfitto la povertà sui balconi, puoi nascondere quanto vuoi le frane elettorali. Puoi illuderti che Di Maio sia uno statista e Conte un grande della terra. Ma poi il primo non sa che pesci pigliare in Libia e il secondo non trova mai un posto in prima fila nelle foto ufficiali alla fine dei summit. Non hai sconfitto la povertà, non combini nulla in politica estera e davanti ti si para Salvini, che sa usare la rete quanto te e in più si mescola con il suo faccione sudato tra la gente, insultando i tunisini e minacciando i criminali. Uno che ti toglie l’elettorato sotto i piedi, che sia al governo o all’opposizione. Uno che dice le stesse cose che dici tu, più o meno, ma che le urla sbracciandosi. Uno che le ha dette con te al fianco, un governo fa, e ora ha buon gioco a dimostrare che tu, compagine ministeriale del Conte I, sapevi ed eri d’accordo quando lui bloccava i porti. E quindi, se lo neghi, affondi nell’ipocrisia. Una cosa che hanno capito tutti, a partire ovviamente dagli elettori.
E così non ti resta che prendertela con un partigiano ultra-centenario, che nel suo giornalino ha affermato che la piattaforma Rousseau è una bufala anti-democratica, una cosa che pensiamo in tanti. Quanto ho letto che Casaleggio querelava Bruno Segre – al quale va tutta la mia simpatia e a cui mi piacerebbe stringere la mano – ho pensato che era l’inizio della fine per il modello Grillo-Casaleggio. Certo, pigliarsela con un vecchio signore libertario di Torino è ben poca cosa davanti ai problemi del paese. Ma è una piccolezza, un dettaglio, che annuncia una possibile catastrofe. Il battito d’ali di una farfalla può travolgere una mediocre utopia politica.