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Governo Conte bis. Durare, durare, durare

Valerio Valentini

Comunque vada in Emilia ecco la strategia dell'esecutivo per tirare a campare. C’è anche il rimpasto

Roma. Chissà se più per scrupolo o per paura, sta di fatto che un paio di ministri del Pd, alla vigilia delle regionali, si sono rivolti a Federico D’Incà per capire dal responsabile dei Rapporti col Parlamento con quanta rapidità, in caso di necessità, si possa arrivare alla celebrazione del referendum confermativo sul taglio di deputati e senatori. E lui, solerte, ha subito fatto sapere che, essendo arrivato il via libera della Cassazione, già entro la prima settimana di aprile sarebbe più che ragionevole, da parte del governo, convocare la consultazione. Il che, ovviamente, contribuirebbe non poco a disinnescare la mina che un Matteo Salvini in ritorno dalla trionfante campagna d’Emilia non esiterebbe a piazzare sotto un esecutivo già barcollante. Un po’ perché a quel punto tutti confidano nella fermezza di Sergio Mattarella, che non acconsentirebbe a uno scioglimento delle Camere immediato senza che prima si celebri il referendum. E un po’ perché, una volta confermata la sforbiciata degli scranni parlamentari, ben pochi tra deputati e senatori – ben pochi perfino fra i leghisti – correrebbero il rischio di avallare una crisi che significherebbe, per molti di loro, una esclusione pressoché certa dalle prossime liste elettorali.

     

E però, è evidente, non tutto il caos che scaturirebbe dalla disfatta emiliana del Pd potrebbe essere ricondotto all’ordine dalle astuzie del Palazzo. Al Nazareno non amano parlare di rimpasto, ma sono in parecchi, nella delegazione di governo, a sapere che “se bisogna resistere alla tempesta, servono personalità forti”. E di certo non appare tale Paola Pisano, il ministro dell’Innovazione grillino chiamata a Roma da Luigi Di Maio dopo i disastri combinati all’anagrafe di Torino nel ruolo di assessore della giunta Appendino, che ci ha messo poche settimane per inimicarsi tutto il governo, con un’approssimazione di metodi che ha fatto perdere le staffe perfino al mite Dario Franceschini, che come altri colleghi s’è visto arrivare un “Piano per l’innovazione” che la Pisano voleva inserire nel Milleproroghe senza averne prima discusso con nessuno, o quasi. “Ma ne ho parlato con la ministra Bonetti”, s’è difesa la Pisano, attribuendo evidente alla titolare della Famiglia un peso politico che non ha. E insomma potrebbe essere quella la tessera del domino che, sfilata dalla serie d’incastri, determinerebbe la necessità del rimpasto. E d’altronde anche al neo ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, è stato promesso un rinforzo: e siccome Stefano Patuanelli al Mise ne ha ben cinque tra sottosegretari e viceministri, la candidata al trasloco da Via Veneto a Viale Trastevere pare sia la grillina Mirella Liuzzi. Fosse per Matteo Renzi, poi, tanto varrebbe partire dalle basi, e cioè dal premier, nell’opera di ricambio generale: perché “quel Conte lì” resta un intralcio ai disegni d’espansione centrista del leader di Italia viva, che sa bene quanto un certo mondo moderato sia in attesa di capire quali sono le mosse del presidente del Consiglio per il futuro. E tuttavia, davanti al rischio che chiedere un cambio della guida del governo – da affidare magari a Franceschini – possa determinare il precipitare degli eventi e magari della legislatura, “anche Matteo”, dicono i suoi, “si asterrà dal tentare azzardi”.

     

E Conte, certo, nel frattempo studia preventivamente le mosse che possano puntellare la baracca. Tra queste rientra anche l’avere propiziato l’assegnazione delle stellette da capo delegazione grillina al Guardasigilli Alfonso Bonafede, e non a quel Patuanelli guardato con sempre maggior malanimo da Di Maio. La motivazione, d’altronde, è già pronta, essendo il ministro dello Sviluppo così impantanato nelle rogne di Alitalia e Ilva da avere già programmato, stando alle confidenze del suo staff, un rafforzamento della struttura per le crisi aziendali, finora gestita in modo non proprio brillante da Giorgio Sorial. Ma la verità che circola a Palazzo Chigi è un’altra: e cioè che una promozione sul campo al grillino che più di tutti va predicando l’annessione del M5s al campo del centrosinistra provocherebbe il risentimento di chi, dai sottosegretari Manlio Di Stefano a Laura Castelli, passando per una decina di parlamentari, quella svolta la vuole meno. E dunque è meglio che a guidarla sia, almeno formalmente, un esponente di quella frangia di presunti lealisti di Di Maio come Bonafede.

    

In ogni caso, nel M5s l’umore generale è un sentimento strano a metà tra l’incoscienza di chi ignora il pericolo che incombe, e l’astuzia di chi prova ad aggirarlo. Sarà per questo che il capogruppo al Senato Gianluca Perilli dice col tono di chi è saldo nelle sue intenzioni che “già dalla settimana prossima faremo delle assemblee congiunte per definire bene le nostre priorità sul programma di governo”, che poi andranno confrontate con le istanze di Pd, Leu e Iv in un tavolo di maggioranza da convocare “in tempi rapidi”. Come se però, a Palazzo Madama, non ci sia il lavorio leghista per provare a erodere la maggioranza, provando a strappare al M5s quella decina di senatori necessari per fare venire giù tutto.

     

Ed è forse pensando a questo che nel Pd c’è chi, oltre alla strategia della difesa a oltranza nella trincea del governo, pensa anche a una diplomazia dell’appeasemnt verso l’avversario leghista. E’ così che, in vista delle trattative per le nomine di marzo, qualcuno sta pensando di acconsentire ad accogliere la richiesta fatta arrivare dal Carroccio. Dove Giancarlo Giorgetti ha stabilità la priorità da rivendicare: e cioè un trattamento di favore nella definizione dei vertici di Leonardo, vista da Via Bellerio con l’avidità di chi spera di usare la plancia di comando dell’ex Finmeccanica un po’ per dare fiato alle imprese del settore, quasi tutte con sede in Lombardia, e un po’ per provare a riaccreditarsi con gli Stati uniti attraverso una politica della Difesa molto accomodante con la Nato. Sarebbe un po’ come la foccaccia gettata dalla Sibilla al Cerbero virgiliano, per placarne la foga dell’assalto. Sempreché, ovviamente, alla fine la Lega vinca davvero, in Emilia. Se invece Stefano Bonaccini ce la facesse, sarebbe tutto più facile.