Non essere più subalterni al grillismo. Anche questo, forse soprattutto questo, potrà essere il significato di queste elezioni regionali per il Pd. Perché il trionfo emiliano – coi dem al 35 per cento senza contare il 5,7 per cento della lista “Bonaccini presidente” – e in parte la prestazione dignitosa in Calabria, dove comunque il Pd al 15 per cento è la prima lista della regione, inevitabilmente consegnano al Nazareno la golden share della maggioranza di governo. Tanto più a fronte di una disfatta clamorosa del M5s, che non supera la soglia di sbarramento dell’8 per cento in quella Calabria dove ancora alla Europee del 2019 vinceva col 27 per cento dei consensi e annaspano intorno al 4 per cento nell’Emilia-Romagna che li tenne a battesimo col primo V-Day. La prossima settimana si apriranno ufficialmente i tavoli congiunti tra le delegazioni parlamentari della maggioranza: incontri che serviranno a definire il “cronoprogramma”, ovvero la nuova agenda del governo. Ed è proprio su questo che si sono concentrate le prime dichiarazioni di Nicola Zingaretti. Al Nazareno c’è già chi scalpita: “Ora spetta a noi dettare la linea, e il M5s non potrà che adeguarsi”, dicono. Il pastrocchio sulla prescrizione sarà il prima banco di prova, così come la revoca delle concessioni alle autostrade. Sempre che, alla fine, il rilancio del governo non passi per un rinnovo del governo: perché in effetti c’è chi, nel Pd, crede che la soluzione del rimpasto sia l’unica percorribile, se si vuole dare un respiro di legislatura all’esecutivo. E anche Matteo Renzi, in questo, sarebbe più che d’accordo: a cominciare dal cambio del premier.
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