Quanto vale (nelle urne) il partito che non c'è
Nei sondaggi sulle intenzioni di voto l'area è da mesi intorno al 7,5% nella sua accezione più stretta (Italia viva, Azione e Cambiamo) e intorno al 16% in quella più larga (includendo anche Forza Italia e +Europa)
Negli ultimi mesi vari soggetti politici si sono collocati al centro e si propongono di svolgere un ruolo da pivot tra destra e sinistra, o quanto meno di essere elementi moderatori all’interno dei due poli. Il caso più emblematico è senza dubbio quello di Matteo Renzi e della sua ultima creatura, Italia Viva. L’ex leader del PD e ultimo (in ordine di tempo) fiero interprete della sua vocazione maggioritaria, intesa sia come strategia politica che come strategia istituzionale, si è esplicitamente proposto di «fare come Macron», cioè di sfondare al centro. Lo ha fatto peraltro proprio mentre ha abbandonato ogni riferimento alla Francia sul piano istituzionale ed ha invece ripiegato sulla richiesta di un sistema elettorale perfettamente proporzionale, con una soglia di sbarramento più bassa possibile.
Come ha documentato una nostra rilevazione svolta in occasione della recente Leopolda, anche tra i suoi sostenitori prevale largamente l’idea che ItaliaViva debba proporsi come punto di congiunzione tra moderati di destra e sinistra. Pur senza questa ambizione al momento del tutto irrealistica (non si vedono i soggetti da federare né tanto meno la disponibilità a farsi federare da Renzi), sono entrati nello stesso spazio anche altri: Azione di Carlo Calenda, Cambiamo di Giovanni Toti. A questi, allargando il campo, si potrebbero aggiungere Forza Italia e +Europa.
Nei sondaggi sulle intenzioni di voto il complesso di questa area viaggia da mesi intorno al 7,5 nella sua accezione più stretta (ItaliaViva, Azione, Cambiamo) e intorno al 16% nella sua accezione più larga (includendo anche Forza Italia e +Europa). Circa il 9% riferibile a partiti collocati per ora nel centrosinistra, circa il 7% riferito a partiti collocabili nel centrodestra. Se guardiamo ai dati duri delle elezioni che si sono svolte negli ultimi vent’anni, che abbiamo ricodificato proprio per avere un’idea del peso assunto nel tempo dalle principali aree politiche, vediamo che i partiti in senso stretto di centro (variamente collocati) non hanno mai ottenuto in elezioni politiche, regionali o europee, più del 7% nel loro insieme. Unica eccezione le politiche del 2013 con il caso peculiare di Scelta Civica, creata dal premier uscente.
Le regionali in Emilia-Romagna e in Calabria non dicono molto di nuovo. In Emilia-Romagna nessuna lista si è presentata in maniera esplicita con questo profilo. Ad esempio, le due componenti “centriste” del centrosinistra (ItaliaViva e Azione) erano tutte e due nascoste nella lista del presidente (5,7%). E anche se si guarda al loro risultato attraverso i voti di preferenza tutto appaiono tranne che una espressione di moderatismo nel senso del classico continuum. Ad esempio, nella circoscrizione bolognese il più votato è Mauro Felicori, ora ItaliaViva, una icona della tradizione amministrativa emiliana, la cui storia politica e professionale affonda nella più pura tradizione del riformismo Pci. La seconda più votata, ora in Azione, è la ex-grillina Mara Mucci.
La nostra analisi dei flussi condotta su Reggio Calabria mostra che il centrodestra a guida Santelli ha recuperato mostruosamente dall’astensione rispetto alle Europee, secondo un ciclo ormai classico in quella regione che dal 2005 porta ad alternanze segnate da un radicale cambiamento degli equilibri elettorali tra sinistra e destra. Ad ogni tornata chi vince, vince con circa il 60% dei voti mentre la coalizione avversaria tracolla. Se ne sono avvantaggiate questa volta soprattutto la lista della presidente (8,5%), la riesumata Casa delle Libertà (6,4%) e la rediviva Unione di Centro (6,8%), quindi l’area moderata e non sovranista della coalizione. Da qui a dire che si scorgano segni di una imminente espansione del centro ce ne passa, parecchio.
Salvatore Vassallo è direttore dell’Istituto Cattaneo.