Stefano Bonaccini (a sinistra) e Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

Vincere e governare. La lezione di Bonaccini

Annalisa Chirico

Lo schiaffo elettorale a Salvini, i voti dei Cinque stelle conquistati senza alleanze, il bisogno di un nuovo centrosinistra. E forse la voglia di arrivare alla guida del Partito democratico. Intervista al presidente rieletto dell’Emilia-Romagna

Nessuno aveva mai osato dire a Matteo Salvini: “Citofona a casa tua”. Lui ha osato, e ha vinto. Più che a una sardina, Stefano Bonaccini somiglia a un salmone pronto a risalire il fiume controcorrente, alla conquista del Pd. Da qualche tempo l’idea gli ronza nella testa e gli pulsa dentro ma, da politico navigato qual è, sa bene che una fuga in avanti potrebbe rivelarsi letale. Non conferma né smentisce, esalta il “modello Bonaccini”, effigie di se stesso, e traccia il programma del futuro all’insegna di un messaggio forte: “La nostra vittoria dimostra che i voti grillini possiamo conquistarli senza doverci alleare con loro”. Basta subalternità, tanto più verso un partito in palese dissolvimento. Quando gli facciamo notare che la sua linea è l’esatto opposto dell’alleanza strutturale perseguita dal segretario in carica Nicola Zingaretti, lui si schermisce: “Nicola è un amico”. Perché nel Pd sono tutti amici, fino al congresso successivo. Ma partiamo dalla scampanellata salviniana, dal truce gesto che ha marcato la campagna leghista in un quartiere dove la Lega è uscita perdente. “E’ stato un comportamento sopra le righe di cui ancora non mi capacito – dichiara al Foglio il presidente Bonaccini – Se ho notizia che qualcuno spaccia droga, mi rivolgo alle forze dell’ordine, non mi porto dietro le tv sotto casa di uno sconosciuto inseguendo il sentito dire. Forse Salvini, consapevole della possibile sconfitta, ha voluto alzare la posta. Ma gli emiliano-romagnoli non amano i toni eccessivi. Possono anche apprezzare se fai una pubblica denuncia perché in una zona c’è spaccio, ma così è troppo strumentale”.

  

La contesa elettorale si è trasformata nello scontro tra due maschi alfa. La candidata Lucia Borgonzoni c’era e non c’era. “La mia avversaria non l’ho scelta io. Lei mi ha mandato un messaggio di complimenti un paio di giorni dopo, l’ho apprezzato. Salvini ha provato a trasformare il voto in un referendum su se stesso. Io invece ho chiesto un voto per il buon governo”. Diciamo la verità: lei ha puntato al catch-all Bonaccini. “In che senso?”. Ha preso voti a sinistra e al centro, mostrandosi sempre in giacca e con gli inconfondibili occhiali a goccia, con il simbolo Pd opportunamente in ombra. L’imprenditoria e la borghesia che conta, dai Vacchi ai Seragnoli, sostenevano lei. “Anche gli operai hanno votato in maggioranza per me, dicono gli analisti. E anche la stragrande maggioranza dei giovani e giovanissimi. Io c’ho messo la faccia, avendo governato la regione per cinque anni. Loro ci hanno messo i simboli e la faccia di Salvini”.

  

Dall’analisi dei flussi condotta da Swg, emerge che il suo 51,4 per cento arriva per la maggior parte da elettori che avevano già votato il centrosinistra (65 per cento) cui si aggiunge una quota consistente di persone che non avevano votato alle scorse europee (17,7 per cento) o che avevano votato il M5s (9 per cento). C’è poi un 6,1 per cento di elettori che avevano votato partiti del centrodestra. Lei, Bonaccini, ha convinto al di fuori del suo elettorato storico. “Evidentemente i moderati non si sono sentiti rappresentati da una destra che di moderato ha ben poco”.

  

Si offende se le dico che, di fronte a certe citofonate, Silvio Berlusconi avrebbe votato per lei? “No, ci mancherebbe. Ho trovato positivo che anche molti elettori tradizionalmente di centrodestra abbiano preferito essere governati da me rispetto a chi ha dimostrato scarso rispetto verso questa regione. Hanno definito l’Emilia-Romagna la pattumiera d’Italia, hanno detto che qui lavora o fa impresa solo chi ha una certa tessera di partito in tasca. Alla vigilia del voto, un imprenditore di destra mi ha detto di essersi sentito personalmente offeso”.

  

Nicola Zingaretti ha festeggiato il suo successo. “La vittoria è sempre un fatto collettivo, solo le sconfitte ti lasciano solo. Il Pd ha ottenuto peraltro un ottimo risultato. Io ho raccomandato prudenza al mio partito: la vittoria in Emilia-Romagna non risolve nessun problema del paese, la forza della destra e i problemi cui dà voce sono ancora lì. Guai a sottovalutarne la portata”.

   

La sua cautela sembra fondata: in Emilia, su due milioni e 300 mila votanti, lo scarto tra Pd e Lega è di 180 mila voti. Il Carroccio è il secondo partito nella regione più rossa d’Italia. “Nel 2020 è inutile ragionare con le lenti del 1980. Peraltro, già vent’anni fa si perse a Bologna. Stavolta si poteva perdere eccome, non spetta a noi governare per diritto divino neanche in Emilia-Romagna. E’ positivo aver recuperato oltre 300 mila voti rispetto a otto mesi fa quando la Lega era il primo partito e l’intero centrodestra aveva sette punti di vantaggio”.

   

“La vittoria è sempre un fatto collettivo, solo le sconfitte ti lasciano solo. Il Pd ha ottenuto peraltro un ottimo risultato. Io ho raccomandato prudenza al mio partito: la vittoria qui non risolve i problemi del paese”. “Pensare che si possa fare a meno degli inceneritori, come qualcuno proponeva, è semplicemente surreale”

Lei sa bene che il paragone tra un voto amministrativo e quello europeo è poco significativo. La differenza, in confronto alle regionali di cinque anni fa, è che si sono registrati trenta punti in più di affluenza (dal 37 al 67 per cento). “Abbiamo ricucito lo strappo politico del 2014 quando arrivammo al voto anticipato per la fine traumatica della legislatura. Da un lato, Vasco Errani si era dimesso a fronte di una condanna in appello, poi smentita da una assoluzione definitiva con formula piena; dall’altro, quasi tutti i consiglieri regionali, di ogni partito, erano finiti sotto indagine per l’utilizzo dei fondi dei gruppi in una vicenda giudiziaria infine drasticamente ridimensionata. Furono mesi drammatici, la nostra gente non capiva, si sentiva tradita”.

  

Anche lei finì processato e assolto per abuso d’ufficio. Che effetto le fa sentir parlare di abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio? “Guardi, sono questioni complesse che richiedono ragionamenti articolati. Di certo, serve un equilibrio tra la prescrizione e la durata dei processi”.

  

Che cosa replica a chi sostiene che in Emilia il “sistema” – partito, cooperative, sindacati, Arci, Cassa di risparmio – ha tenuto? “Quel sistema non esiste più da un pezzo, se non nella propaganda della destra. Esiste una cultura di solidarietà, civismo, partecipazione che deriva anche da quelle esperienze. E’ un capitale sociale della nostra regione, non un sistema di potere. Se uno non capisce questo, poi perde le elezioni”.

   

Dalle elezioni politiche del 2018 a oggi, il Pd ha perso in tutte le tornate elettorali, delle nove regioni dove si è votato la sinistra ne ha conquistato soltanto una. “Serve un salto di qualità, un progetto che parli al paese con parole nuove e diverse, che dia rappresentanza e risposte alle insicurezze personali e sociali degli italiani. La destra non vince per diritto divino, si può battere come si è visto da noi”.

  

Il “modello Bonaccini”, che conquista i voti pentastellati senza allearsi con loro, vince. E’ l’esatto opposto della strategia zingarettiana. “In Emilia è stato il M5s a rifiutare il confronto. Alla fine, i loro elettori hanno compiuto la scelta respinta dai gruppi dirigenti. A livello nazionale, non c’è un’alleanza strutturale ma il comune sostegno al governo. Senza una scelta di campo chiara, il governo resta paralizzato. Credo che il Pd debba sfidare tutte le forze politiche che sostengono l’esecutivo a rimettersi in gioco, dentro e fuori le istituzioni”.

  

Un listone centrista, che ponga al centro la necessità di tornare a creare ricchezza, può aiutare nell’impresa? “L’Emilia-Romagna, in realtà, indica una strada virtuosa: negli ultimi dieci anni ha creato più ricchezza e l’ha redistribuita meglio del resto del paese. Le due cose si tengono: è ovvio che redistribuisci ciò che crei, ma è altrettanto evidente che una cattiva distribuzione del reddito impedisce poi di crescere bene. Per questo il welfare, da noi, è anche un investimento sulla crescita. E’ grazie agli asili nido che abbiamo la più alta percentuale di donne occupate”.

  

Per lei, Giuseppe Conte è un “fortissimo punto di riferimento”? “Per me, in qualità di presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza delle regioni, il capo del governo è un punto di riferimento naturale. Mi pare che rispetto alla litigiosità della maggioranza che lo sostiene, il premier non abbia grosse responsabilità”.

  

Anche in Germania si fanno le coalizioni ma i socialdemocratici non si sono mai sognati di definire Angela Merkel il loro punto di riferimento. “E’ un paragone un po’ azzardato: da oltre settant’anni, Spd e Cdu sono le due principali forze che si fronteggiano in Germania, mentre i 5 stelle sono un terzo polo alla prima prova di governo; aggiungo che il premier Conte non ha guidato alcun partito alle elezioni politiche del 2018. Ciò detto, il dibattito su quanto Conte sia di sinistra o meno, mi appassiona assai poco. Il problema non sta lì, ma nell’agenda delle cose da fare per il bene dell’Italia”.

  

Due numeri: meno 0,3 per cento del pil nel quarto trimestre dello scorso anno e sbarchi aumentati, a gennaio, del mille per cento. “In verità, l’economia rallenta da un po’ perché la legge di Stabilità varata dall’esecutivo gialloverde era tutto fuorché improntata sulla crescita. L’attuale governo deve varare misure robuste per far ripartire investimenti, lavoro e infrastrutture senza trascurare la lotta all’evasione. Il governo sarà giudicato dalla capacità di risolvere o meno i problemi. La soluzione non passa dal ‘palazzo’ ma piuttosto dalla capacità di ricostruire un campo e un’agenda di cose da fare nel e con il paese. Vedremo”.

  

Riformisti doc come il migliorista Emanuele Macaluso hanno espresso un insuperabile scetticismo circa l’alleanza con i 5 stelle. “Li capisco perfettamente, io sono cresciuto nella sinistra emiliana che è stata storicamente una grande scuola riformista. E mi sento orgogliosamente riformista. Ma il punto è un altro: o sei capace di costruire un’alleanza forte sulle cose da fare per il paese, o devi essere capace di avanzare una proposta politica, un programma e una leadership che conquistino i loro voti. In Emilia abbiamo fatto così: abbiamo vinto conquistando i loro voti”.

  

A Roma serve Bonaccini, ricevuto. “Non ho lezioni da dispensare e non mi appassionano dibattiti astratti e politicisti. Le alleanze si fanno sulle cose da fare, non per impedire le elezioni anticipate o solo per battere l’avversario”.

 

Lei sa bene che il pericolo delle urne è la ragione sociale del Conte2 (al netto del Conte1 che governava con i leghisti, perdoni il bisticcio). “Il governo ha fatto una manovra complicata, e ha evitato l’aumento dell’Iva. Adesso si apre una fase nuova”.

 

Dopo la vittoria emiliana, il vicesegretario Pd Andrea Orlando ha posto l’esigenza di “modificare l’asse politico di governo”. Lei da dove partirebbe? “Le priorità sono il lavoro e i redditi dei ceti medio-bassi. Serve una riconversione ecologica, intesa come opportunità di sviluppo sostenibile”.

 
Lei si è formato alla scuola di Pier Luigi Bersani, poi è stato sostenitore e amico di Matteo Renzi. “Li ho avuti entrambi al mio fianco in Emilia-Romagna per battere Salvini, e sono grato a entrambi. Anche nel paese l’unità di un nuovo centrosinistra, aperto al civismo, è la precondizione per tornare a vincere: da sola non basta ma senza di essa la partita è persa in partenza”.

 

Secondo i rumor, Renzi mediterebbe l’appoggio esterno al governo. Italia viva è fonte di preoccupazione per il premier Conte. “Il Pd deve lanciare una sfida rivolta a tutte le forze politiche che sostengono l’esecutivo per tirarle fuori dalla logica dei veti contrapposti e dei tatticismi parlamentari. Una situazione di stallo non favorisce questo o quel partito ma fa aumentare la disaffezione degli elettori e i consensi per la destra”.

 

Qual è la priorità dell’Agenda Bonaccini per l’Italia? “Il lavoro, prima di tutto. Dobbiamo rimettere in moto l’economia e dare qualità all’occupazione, combattendo il precariato e sostenendo i redditi. Nel 2015, in regione, sottoscrivemmo con tutte le parti sociali un Patto per il lavoro, definendo le azioni a sostegno dell’occupazione. Tra poche settimane, ne proporrò una nuova versione per la buona occupazione e per contrastare l’emergenza climatica. A me pare che al paese serva questo”.

 

“Serve un salto di qualità, un progetto che parli al paese con parole nuove e diverse, che dia rappresentanza e risposte alle insicurezze personali e sociali degli italiani. La destra si può battere”. “Le alleanze si fanno sulle cose da fare, non per impedire le elezioni anticipate o solo per battere l’avversario”

Sul fronte immigrazione, in un periodo in cui si registra un notevole aumento degli sbarchi a causa del disordine libico, Elly Schlein, la candidata più votata in Emilia, propone il rilancio dell’accoglienza diffusa, una nuova legge sulla cittadinanza, l’annullamento del memorandum con la Libia e la cancellazione dei decreti sicurezza. Un pacchetto rosso fuoco. “Un nuovo centrosinistra deve tenere insieme sicurezza e solidarietà, accoglienza e rispetto delle regole, diritti e doveri. Io sono favorevole, ad esempio, alla cittadinanza per i bambini nati da famiglie straniere ma che vivono e studiano nelle nostre scuole. E non ho dubbi che gli accordi con i paesi di partenza debbano essere esigenti sul rispetto dei diritti umani. Tuttavia, il problema dei flussi non può risolversi senza accordi che filtrino le partenze e agevolino i rimpatri. Né è sufficiente superare i decreti Salvini per assicurare una politica robusta di accoglienza e rimpatri per gli irregolari. La destra ha fatto molto male ma noi dobbiamo fare bene: non basta cancellare”.

 

In campagna elettorale lei ha dispensato una moltitudine di promesse: trasporto pubblico gratis fino ai 19 anni, asili nido gratis, seicento km di piste ciclabili, la riapertura dei punti nascita. Wow. “Le promesse risalenti a cinque anni fa le ho mantenute, farò altrettanto anche stavolta. Abbiamo già posto le basi per realizzare questi obiettivi, noi non improvvisiamo”.

 

Lei ha annunciato che chiuderà qualche termovalorizzatore. “Qui conferiamo in discarica il cinque per cento dei rifiuti quando l’Europa fissa al dieci per cento una soglia molto virtuosa. Abbiamo portato la raccolta differenziata e il riciclo oltre il 70 per cento, dunque ci siamo potuti permettere di spegnere (per sempre) l’inceneritore di Ravenna, di vecchia generazione. L’obiettivo dei prossimi cinque anni è incrementare la differenziata oltre l’80 per cento: a quel punto potremo spegnere qualche altro impianto. Ma pensare che si possa fare a meno degli inceneritori, come qualcuno proponeva, è semplicemente surreale, anche perché qui da noi mai si è verificata nella storia un’emergenza rifiuti”.

 

Come leader, lei trova più carismatico Conte o Zingaretti? “Svolgono due mestieri diversi. Mi interessa poco il carisma ma che contribuiscano invece a far ripartire il paese nell’azione di governo il primo, a costruire un’alternativa riformista, con il Pd perno centrale di un nuovo campo di centrosinistra, il secondo. A entrambi la mia disponibilità per dare una mano”.

 

Lei muore dalla voglia di candidarsi alla guida del Pd. E’ una cosa bella. “Con Nicola ci conosciamo da trent’anni, e ci lega una solida amicizia. Mi hanno appena riconfermato al governo dell’Emilia-Romagna e alla guida del Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa. Però, sì, sono pronto a dare una mano per portare la nostra esperienza anche fuori da qui”.
Pure Beppe Sala e Giorgio Gori scaldano i motori ai nastri di partenza. “Credo che anche loro vogliano dare una mano per sbloccare una situazione complicata. Un grande partito deve saper valorizzare queste esperienze, così come un grande progetto per il paese non può prescindere dai territori. Soprattutto laddove si è vinto quando era molto più facile perdere. Ma non servono salvatori della patria, serve umiltà e determinazione. Serve uno sforzo collettivo”.

 

Se parte alla conquista del Nazareno, le toccherà nuotare controcorrente, come un salmone. Da quelle parti nessuno spalanca le porte. “Ho l’ambizione di contribuire a un progetto progressista e riformista capace di parlare agli italiani. Verso il paese avverto un senso di responsabilità fortissimo, lo stesso che mi ha animato nella battaglia per non consegnare la regione a questa destra”.