Cominciamo dal sud, là dove Salvini è diventato leader nazionale
Salvini non è invincibile. Salvini è vulnerabile se affrontato in campo aperto, aggredendo “la” questione (un tempo si sarebbe chiamata sociale) che ha consentito alla Lega di diventare il primo partito italiano. Infatti, un intero blocco sociale, colpito da una crisi economica devastante che ha annichilito il ceto medio imprenditoriale, impiegatizio e autonomo, ha trovato una rappresentanza forte in quelle sue invettive – lotta all’establishment, sindacalismo dei produttori, avversione al “buonismo” multiculturalista, difesa dei confini – che hanno incrociato la domanda tradizionale di una parte cospicua dell’elettorato domestico. Ma Salvini è assurto al rango di leader nazionale solo quando ha conquistato il Mezzogiorno, là dove le stelle grilline sono rapidamente collassate. Ben consapevole che la sfida al “citofonista” richiede proposte nette e credibili su temi cruciali (lavoro, fisco, immigrazione, degrado delle periferie urbane), a mio avviso è da qui che deve partire la riscossa di un nuovo schieramento progressista. In questo senso, il modello civico-democratico che ha animato la ribellione emiliana non è meccanicamente esportabile nel resto del paese. Nel sud occorre rovesciare il paradigma che ha costituito la base etica, culturale e politica dell’intervento pubblico. Il divario vero con il nord non è soltanto nel reddito pro capite, ma nei tassi di abbandono scolastico, nei posti disponibili negli asili nido, nelle prospettive di occupazione dei giovani, nel rispetto delle regole. La battuta d’arresto di Salvini in Calabria, che denota un rimescolamento delle carte nelle classi dirigenti locali del centrodestra, non muta i termini del problema. Le regioni meridionali devono poter contare su uno stato impegnato nelle sue funzioni essenziali, e solo in esse: amministrare la giustizia, garantire la sicurezza dei cittadini, fornire servizi sanitari ed educativi decenti, infrastrutturare il territorio. Devono dotarsi, inoltre, di quelle capacità progettuali che sono indispensabili per utilizzare con profitto i finanziamenti europei nei settori dell’innovazione tecnologica e del risanamento delle città. A Napoli come a Bari e Palermo non mancano le energie imprenditoriali, sociali e intellettuali disposte a raccogliere questa sfida. Ma devono essere aiutate ad aiutarsi da sole, e non mediante provvidenze elargite a fondo perduto in un mercato del lavoro stagnante. Uno spreco enorme di risorse della collettività, destinato a rinfocolare quei sentimenti di stanchezza e sfiducia, dilagati dopo decenni di retorica meridionalista, che sono il lievito del populismo leghista.