Il Palazzo del Viminale, sede del ministero dell'Interno

I “gabinettisti”, intermediari tra politica e burocrazia. Un potere opaco?

Tra politici improvvisati e burocrati spaventati sono gli uffici di staff a far andare avanti la macchina statale

Chi fa andare avanti la macchina dello Stato, tra politici improvvisati e burocrazia spaventata?

Suppliscono i gabinetti, cioè gli uffici di “staff”, detti anche di diretta collaborazione, dove si trovano persone esperte, spesso con maggior fiuto politico dei loro ministri, e quasi sempre con maggior esperienza gestionale delle burocrazie permanenti. Le norme dispongono che non debbono interferire nei rapporti tra ministro e alta burocrazia. Nella realtà il loro compito consiste proprio nell’operare come intermediari tra burocrazia e politica.

 

Ma non hanno troppo potere?

Forse sì, ma suppliscono a una duplice carenza, quella della politica e quella dell’amministrazione. Riempiono buchi, risolvono problemi, affrontano emergenze. Sono impegnati tutti i giorni sia sul fronte parlamentare, sia su quello governativo, sia su quello amministrativo. Sono loro che conoscono persone, precedenti, dossier, poteri. Non se ne potrebbe fare a meno.

 

In questo senso, sono anche l’indice di un malfunzionamento. Perché non basta il vertice amministrativo permanente? Perché questi “all rounder”, specialisti di tutto, quindi generalisti?

Lo spiega indirettamente una utilissima raccolta di 55 biografie di “gabinettisti” lungo tutta la storia d’Italia, appena uscita (Guido Melis e Giovanna Tosatti (a cura di), Il potere opaco. I gabinetti ministeriali nella storia d’Italia, Bologna, il Mulino, 2019). Dalla lettura di queste biografie, che fanno parte di una più ampia raccolta, opera di una ricerca diretta da Guido Melis e Alessandro Natalini, si evincono due tratti della storia italiana dei ministeri. Il primo: inizialmente i gabinetti erano affidati a personale dei ministeri stessi. Il secondo: le persone scelte per ricoprire le cariche erano inizialmente di livello non alto. Aggiungo un terzo elemento: i gabinetti erano inizialmente composti di poche persone. Col passare del tempo, e in particolare con l’Italia repubblicana, i capi di gabinetto e le altre cariche di vertice sono state sempre più tratte dal Consiglio di Stato e, in misura minore, da Corte dei conti e Avvocatura dello Stato, a cui si sono aggiunti di recente i funzionari parlamentari. Inoltre, i gabinetti sono aumentati di dimensione.

 

Questo che vuol dire?

Questo cambiamento indica due mutamenti. Il primo è il seguente: i ministri hanno avuto sempre più bisogno di collaboratori di rango più alto, per potersi fare ascoltare fuori del ministero. Il secondo: questo è un segno del progressivo decadimento dei vertici amministrativi stabili.

 

Ma questo non è vero per tutti i ministeri.

Vero. Ma le eccezioni confermano la regola: riguardano Interno, Esteri, Giustizia e, in parte, Difesa. Lì sono rimasti vertici che, di regola, accedono ai gabinetti.

 

Quali altri elementi si traggono dall’analisi del “campione” studiato dai biografi?

La formazione di alcune “coppie inscindibili”, che è prova del grado di coesione raggiunto tra alcuni politici e alcuni “grand commis”: Francesco Bartolotta e De Gasperi, Nino Freni e alcuni ministri socialisti, Giuseppe Manzari e Moro, Gaetano Stammati e Vanoni (poi Tremelloni), Giorgio Crisci e ministri come Natali, Piccoli e Ferrari Aggradi. A scorrere i nomi dei “gabinettisti” si trovano alcune delle persone che hanno segnato maggiormente la storia politico-amministrativa del nostro Paese. A quelli citati si possono aggiungere due altri nomi, quello di Vincenzo Giuffrida e quello di Lionello Levi Sandri. Si tratta di persone che hanno contribuito in maniera determinante alla formazione del nostro Stato, anche se con molte differenze, chi frenando, chi accelerando, chi con maggior attenzione al futuro, chi con l’occhio volto al passato. Ma sempre con un tratto comune, quello dell’alta mobilità professionale: infatti, i “gabinettisti” sono in ogni caso persone che, a causa delle molte funzioni svolte, hanno accumulato esperienze e conoscenze indispensabili per la guida dello Stato.

 

Perché questo compito non può essere volto dal vertice burocratico stabile di ciascun ministero? Non sarebbe meglio?

Per diversi motivi. L’assenza di competenze orizzontali, dovuta alla scarsa mobilità tra i ministeri. I guai provocati dallo “spoils system”, che ha portato al vertice personale non sempre scelto secondo il criterio del merito. La minaccia della Corte dei conti e l’estensione di alcune sanzioni previste per i reati di mafia a quelli di corruzione, che hanno intimidito, scoraggiato, spaventato i vertici amministrativi, premiando la “non decisione”.

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