Il popolo? Un'entità astratta a disposizione del demagogo di turno
Il concetto di popolo come entità astratta contrapposta alle élite è detestabile e pericoloso, un’anticaglia
(Questo articolo è una risposta a quello di Alfonso Berardinelli che trovate qui) Il nostro amico e supremo critico letterario e sociale, Alfonso Berardinelli, ama considerarsi un uomo comune. Individualista come pochi, è per sua scelta fuori dalle accademie e da ogni camarilla, lontano da gruppi, partiti, associazioni, per non dire corporazioni. Se fonda un giornale, sono in due a scriverlo, lui e un suo amico pieno di talento. Il giornale esce “quando può”, come recava nell’intestazione il Leonardo di Papini e Prezzolini (1903-1907, antesignano della Voce), e passa direttamente nella storia e negli archivi del giornalismo saggistico e della critica sociale e letteraria. Sono cose che costano una vita difficile, in un paese intruppato, ma valgono oro, e quell’oro berardinelliano sarà sempre un bel pennacchio sul cappello del Foglio, di cui egli da anni è felicemente un pigiste, un collaboratore a cottimo. Ora il freelancer dei miei sogni, il lavoratore indipendente che nella nomenclatura delle élite vuole restare anonimo, si mette, e lo dico con affettuosa ironia, a servire il popolo. Dopo aver dichiarato con sprezzatura il suo voto per i noti cazzoni a 5 stelle, senza darsi troppo la briga di argomentare razionalmente la scelta, cosa che gli sarebbe riuscita brodosa, e lo capisco, propone ora una rivalutazione del concetto di popolo, un populismo buono che gli altri, i globalizzatori e i riformisti di centrosinistra dovrebbero imparare a rivalutare, con annesse identità e frontiere sotto arcigno controllo.
Ovvio che nei dettagli i ragionamenti e le osservazioni di Alfonso non si possono ribaltare, non ce ne sarebbe motivo, perché sanno di vero, di esperienza, di ragionevole. Anche un individualista di temperamento liberale (e Berardinelli chiama in causa efficacemente Michael Walzer, campione della categoria) può e forse deve ricordare a oligarchie autoreferenziali e di mercato, per così dire, che esiste il patriottismo oltre al cosmopolitismo, il lavoro materiale oltre alla finanza volatile, che frontiere e identità non sono chimere, che non si possono accogliere tutti, che le paure vanno rispettate e governate nella sicurezza, che le classi non sono tramontate con le ideologie classiste, e che alla fine – ecco il punto – il popolo c’è, ha una conformazione solida e parlante, va trattato con le pinze e con la giusta considerazione su una linea diversa da quella della destra demagogica ma sostanzialmente convergente nel riconoscimento del fatto. D’accordo su tutto, per la parte analitica e dei rimedi, up to a point, ma non sul concetto di popolo.
Provo a spiegarmi o rispiegarmi. Popolo è da molti e molti decenni un concetto vecchio, obsoleto, ambiguo e se vogliamo anche grottesco nel pensiero dei suoi sbandieratori. Il popolo dei populisti, la medietà popolare generica innalzata a simbolo carnale del destino nazionale, è una pericolosa anticaglia, che ha prodotto performance non proprio commendevoli (ein Volk ein Reich o il Popolo d’Italia). In quanto tale va sbandito, cancellato dall’orizzonte dell’immaginazione storica e della realtà sociale. Il popolarismo, in particolare cattolico e cristiano, è stato sul piano politico, da Sturzo alla Merkel, una cultura di dissolvimento in Europa del concetto di popolo nelle autonomie locali, nel sindacalismo, nell’associazionismo, nell’integrazione istituzionale di classi e ceti diversi della società civile, nella formidabile costruzione di uno stato dei partiti e di un establishment capace di governarlo nella mediazione di interessi e punti di vista diversi e opposti. Socialisti, socialdemocratici e comunisti si sono mossi sulla stessa linea, prima dei recenti approdi di tipo riformistico e liberale: il popolo dei Togliatti, dei Nenni e degli Schmidt si struttura, si fa movimento operaio, ceto medio da conquistare e rappresentare, e si ritrova nell’invenzione democratica del Novecento, che di tali invenzioni fu come è noto parco: i partiti politici e le concentrazioni sindacali. Il riferimento allo stato, forte e chiaro nel pensiero di Berardinelli, è la chiave di come oggi siamo, nonostante tutte le innovazioni globali da parte dei mercati internazionali: siamo in Europa, figli di popolarismo e socialdemocrazia nel loro incontro con il liberalismo, accucciati nel welfare state. Ho detto sbandire il popolo invece che servirlo, perché sono un po’ provocatore, volevo dire appunto disincarnarlo.
Lenin, che fu spietato tiranno, sebbene non proprio figura minore di golpista bolscevico, e ancora giace con il suo “occhio mongolo” (Enzo Bettiza) in quel mausoleo dove una volta si rappresentava il suo coniugio con la salma imbalsamata di Stalin, a quella sottosezione di popolo che era il proletariato voleva portare la coscienza di sé dall’esterno, dal lavorio di un’avanguardia. Forse la mia detestazione del popolo come entità astratta a disposizione del demagogo di turno mi deriva dal mio passato lontano di giovane comunista, italiano ma pur sempre comunista. Ma confessato il sospetto autodelatorio, perché non dovrei sospettare che in un raffinato critico “novecentista” come Berardinelli, e ho ricordato prima il giornale di Papini e Prezzolini, il concetto di popolo contrapposto alle élite cosmopolite sia un’astrazione più ancora estetica che sociale, e che il suo dichiararsi ed essere common man, papinianamente e prezzolinianamente, fondi la sua politologia favorevole a un impossibile populismo liberale?