“Non si può processare un avversario per convenienza”. La difesa di Casini sul caso Salvini
Il senatore interviene in Aula in difesa del leader della Lega: “Mandare a giudizio un ministro per il programma del governo di cui fa parte significa scadere nell’arbitrio e nella faziosità”
*Pubblichiamo l'intervento che il senatore Pier Ferdinando Casini ha svolto stamattina nell'Aula del Senato durante la discussione sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini sul caso della nave Gregoretti
È noto che il Parlamento, in questa fase, è chiamato a valutare solo se il comportamento del sanatore Salvini, in occasione dei fatti relativi al ritardato sbarco dei migranti dalla nave “Gregoretti”, sia stato “condizionato da ragioni politiche” che hanno un rilievo costituzionale, ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge costituzionale n. 1/1989.
E cioè se tale comportamento sia stato posto in essere per “la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.
Non mi pare che vi sia alcun dubbio che le azioni del ministro Salvini siano coerenti e esecutive del programma del governo di cui allora faceva parte, come nel caso dei suoi precedenti atti e comportamenti che questo Parlamento è stato chiamato a valutare.
Infatti, la maggioranza parlamentare dell’epoca ha fatto di tale politica “restrittiva” dei flussi migratori uno dei punti centrali del “contratto di governo” e della fiducia che il Parlamento ha accordato all’esecutivo.
In caso contrario, il ministro dell’Interno doveva essere sfiduciato dal Parlamento o, comunque, smentito da atti formali dello stesso o del Consiglio dei ministri.
Il senatore Salvini non ha sicuramente agito, in “solitudine” o in contrasto con le politiche del governo dell’epoca di cui era, peraltro, uno dei principali protagonisti.
Possiamo, quindi, dire che c’era una ragione politica coerente con le esigenze di tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o con il perseguimento di un preminente interesse pubblico, secondo l’orientamento, non condivisibile dal nostro punto di vista, del governo di cui ha fatto parte.
Le politiche di gestione dei flussi migratori del precedente governo erano errate, perché miravano a dare una rappresentazione dell’interesse del paese distorta e dannosa.
Ed è questa una delle principali ragione per le quali il precedente governo si è dimesso e il senatore Salvini non è più ministro dell’Interno.
La chiusura al dialogo con l’Europa, l’idea semplicistica che gli atti simbolici di forza, come nel caso della Diciotti, di altri casi e di quello di cui ci stiamo occupando, avrebbe risolto come d’incanto i problemi della immigrazione clandestina è stata smentita dai fatti e dalla azione del nuovo governo.
Governare cavalcando le legittime paure degli italiani, su di un tema epocale e complesso come l’immigrazione e l’integrazione, regala la soddisfazione di un momento ma non risolve il problema.
Anzi lo aggrava, perché produce una cultura del sospetto, della intolleranza e dell’odio che trasforma in peggio la società e la sua classe dirigente e perché non serve neanche come deterrente o come rimedio efficace alla immigrazione clandestina.
Ma nella valutazione del caso della nave “Gregoretti” non deve contare la nostra opinione politica, perché mandare a giudizio un ministro per il programma del governo di cui fa parte e, quindi, per gli atti che ne sono la immediata e diretta conseguenza, significa scadere nell’arbitrio e nella faziosità.
La Costituzione ci chiede solo di valutare se gli atti del senatore Salvini sono frutto della valutazione che il suo governo ha fatto dell’interesse generale del paese, non della nostra valutazione di tale interesse generale che è diametralmente opposta.
Questa è una distinzione fondamentale che fa la differenza tra lo Stato liberale e lo Stato etico tra l’equilibrio dei poteri e l’arbitrio.
Se indulgiamo oggi, nell’esercizio della nostra delicata e complessa funzione di garanzia, di indipendenza e di autonomia, alla logica di parte, secondo la quale puoi fare processare il tuo avversario politico, in assenza di fondate ragioni costituzionali, per un mero calcolo di convenienza, consumiamo l’ennesimo strappo con i valori fondanti della nostra democrazia parlamentare.
Salvini è stato sconfitto in Parlamento e le sue politiche vanno avversate nel paese ma senza assecondare le scorciatoie giudiziarie, apparentemente facili e comode.
La lotta politica che usa strumentalmente le legittime e autonome iniziative della magistratura ha il fiato corto, produce solo danni al paese e manifesta il suo fallimento perché rinuncia al ruolo di guida della società affidandosi ad altri poteri.
Per queste ragioni credo che il senatore Salvini non debba essere processato anche se ho una opinione politica opposta alla sua ed una visione diversa della società e dei valori che la dovrebbero animare.