Il giusto processo contro una nuova truffa: la ragion di status
Non si può usare il diritto del mare come la Bestia. Tre motivi per cui la difesa di Salvini sulla Gregoretti non regge
Nel discorso pronunciato ieri a Palazzo Madama da Matteo Salvini c’è un passaggio significativo che se mai ce ne fosse ancora bisogno dimostra la ragione per cui negli ultimi mesi il leader della Lega ha trovato un solo modo per provare a difendersi dalle accuse relative al caso Gregoretti a cui ora, dopo il voto di ieri al Senato, dovrà rispondere davanti a un tribunale. Salvini ha detto che “se ci deve essere un processo, in quell’aula non andrò a difendermi” e che per quanto lo riguarda andrà “a rivendicare con orgoglio tutto quello che non da solo ma collegialmente abbiamo fatto”.
Il motivo per cui l’ex ministro ha scelto di rifugiarsi nella formula del “muoia Sansone con tutti i filistei” ha a che fare con le preoccupazioni espresse in forma più o meno diretta dall’avvocato più importante della Lega, l’onorevole Giulia Bongiorno, e il motivo rischia di essere piuttosto semplice: a parte dire che ciò che ha fatto lo ha fatto con il consenso di tutti coloro con cui all’epoca si trovava al governo, il leader della Lega non ha strumenti sufficienti per difendersi da ciò di cui è accusato. Il Tribunale dei ministri avrà il compito di giudicare se quella usata da Salvini somigli più a una ragione di stato o a una ragione di governo ma nell’attesa che vi sia un giudizio definitivo si può dire che ci sono almeno tre ragioni per cui il Senato ha fatto bene a concedere l’autorizzazione affinché l’eventuale responsabilità penale dell’ex ministro venga accertata in un processo, con tutte le garanzie che il nostro ordinamento garantisce.
La prima ragione riguarda il rispetto della Costituzione, la seconda ragione riguarda il rispetto dei trattati, la terza ragione riguarda il rispetto di una legge scritta proprio dall’ex ministro dell’Interno. Il primo sospetto che Salvini abbia abusato di poteri che non ha, limitando la circolazione di persone con dei poteri che non sono previsti dalle norme vigenti, diventa un sospetto concreto se si scorre ciò che prevede l’articolo 13 della Costituzione, secondo il quale “la libertà personale è inviolabile” e secondo il quale “non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Nel caso specifico della nave Gregoretti, Salvini, senza che ci fosse una minaccia concreta per la sicurezza nazionale rappresentata dai migranti a bordo di quella nave militare, si è, come si dice, arrogato un potere che non gli compete, limitando la libertà personale a una serie di persone che solo un intervento di un giudice avrebbe potuto fare.
Il secondo sospetto che Salvini abbia abusato di poteri che non ha, mettendo in pratica ancora prima della stagione del Papeete la sua idea di pieni poteri, che consiste nel mettere il consenso su un piedistallo più elevato rispetto alle leggi e alla Costituzione, diventa un sospetto ancora più concreto se si scorrono alcune righe dei trattati internazionali, che come previsto dagli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità pubblica. Il sospetto diventa concreto se si ricorda, per esempio, cosa prevede una convenzione firmata dall’Italia ad Amburgo nel 1979 che obbliga gli stati “a garantire che sia prestata assistenza a ogni persona in pericolo in mare” e “a fornire le prime cure mediche o di altro genere e a trasferirla in un luogo sicuro”. E se si ricorda, poi, cosa prevede un’altra convenzione internazionale firmata a Ginevra nel 1951, secondo la quale a un rifugiato, indipendentemente dal fatto che una persona sia stata riconosciuta come tale, non può essere impedito preventivamente l’ingresso sul territorio (si chiama divieto di refoulement).
Il sospetto che Matteo Salvini abbia infine abusato di poteri che non ha, per quanto possa sembrare paradossale, deriva anche da una legge firmata dallo stesso Salvini durante i suoi mesi gloriosi passati al ministero dell’Interno. E secondo quanto previsto dall’articolo uno del decreto Sicurezza bis convertito in legge l’8 agosto del 2019, il ministro dell’Interno “può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica, salvo che si tratti di naviglio militare”, cosa che invece la nave Gregoretti era ed è. Si potrebbe essere persino quasi (quasi) clementi nei confronti di Salvini se quello che l’ex ministro delinea come “un atto politico” perseguito facendo leva sulla violazione di alcuni reati fosse stato finalizzato alla risoluzione di un qualche problema e non alla semplice costruzione del consenso. Ma anche l’impostazione scelta ieri dal leader della Lega per difendersi al Senato – la legge sono io – dimostra che su questo terreno la finalità del trucismo c’entra poco con la ragione di stato e c’entra molto, semmai, con la ragione di status e con la gnagnera della propaganda. E se un qualche giudice – cosa che non ci auguriamo – dovesse un giorno trasformare in prove schiaccianti i sospetti contro Salvini sarebbe forse il caso di valutare la conversione dell’eventuale pena in un qualcosa di educativo. Per esempio, un periodo di lavoro nel Mediterraneo a bordo di una nave militare, a sperimentare sulla propria pelle cosa può significare usare il diritto del mare come se fosse un hashtag della Bestia. Intanto, bacioni.