Liguria e non solo. Così le regionali innescano la scissione nel M5s
I parlamentari liguri sono per l’alleanza col Pd, Crimi gli dice “No votiamo su Rousseau”. E loro: “Sì, vabbè…”
Roma. La parola sempre rigettata, lo scenario esorcizzato con categorica nettezza, affiora adesso sulle labbra dei grillini senza remore e pudori. “Una scissione? È probabile”, dice il senatore di Savona Matteo Mantero uscendo dall’Aula di Palazzo Madama. E il riferimento è alle regionali che verranno, nella sua Liguria, e sulle quali rischia di consumarsi la spaccatura decisiva di un Movimento ormai allo sbando. “È un caos”, conferma il suo collega genovese Mattia Crucioli, il più critico sulla gestione del dossier da parte dei vertici grillini. È stato lui, lunedì scorso, a sbattere la porta sul grugno a Vito Crimi e Danilo Toninelli, che avevano radunato i parlamentari liguri per decidere il da farsi, insieme alla candidata presidente scelta via Rousseau, Alice Salvatore. “Il problema è chi decide, e come”, sbotta Crucioli. “Io, se ci fosse una votazione che attestasse con trasparenza che la volontà della nostra base è di andare da soli, lo accetterei”. E invece “si continua a prendere tempo, a trovare escamotage per impedirci di arrivare, a quel confronto”. Sì, perché a doverla risolvere tra Palazzo Madama e Montecitorio, la questione sarebbe perfino scontata: sei eletti su otto – esclusi la senatrice Elena Botto e il sottosegretario ai Trasporti Roberto Traversi – sono a favore dell’alleanza. Solo che Crimi, che porta avanti la linea indicata da Luigi Di Maio, obietta che la voce del M5s non sono solo i suoi rappresentanti nelle istituzioni, ma i militanti. “E così domenica ci sarà l’assemblea: e Crimi esige che da lì esca con nettezza la volontà di indire un voto su Rousseau per valutare l’opportunità di un’alleanza. Solo che – dice Crucioli – non si capisce bene come andrà individuata, questa ‘schiacciante maggioranza’, visto che non è previsto un voto”. E non basta. Perché anche l’accesso al summit è un’incognita: sono ammessi solo gli iscritti all’Associazione “Movimento 5 stelle”, ma dovranno certificarsi tramite Rousseau. Dovranno inviare una mail, e attendere in risposta un tagliando con un QR-code con cui presentarsi alla riunione. E alcuni potranno anche esprimersi in nome e per conto di interi MeetUp, gruppi di attivisti non meglio identificati se non da un anonimo staff. Insomma, il solito guazzabuglio made in Casaleggio. “Io così non ci sto”, dice Crucioli. “Se c’è una struttura che impedisce di discutere, di confrontarsi davvero, se si nega dignità a una parte del M5s, che senso ha restare?”, si domanda Mantero.
E non è l’unico a chiederselo. “Non c’è solo la Liguria”, ammette Emilio Carelli, fresco di nomina a responsabile della comunicazione del M5s, passeggiando in Transatlantico. “Un po’ dovunque c’è tensione, sulle regionali. E il dibattito si è così polarizzato che qualcuno resterà di sicuro scontento”. Come se insomma restasse solo da capire se a uscire saranno i seguaci della linea di Di Maio, convinti sostenitori della linea dell’autonomia; o l’ala del M5s che predica il dialogo col Pd. E così, se in Toscana il consigliere Gabriele Bianchi, di fronte al diniego di qualsiasi ipotesi di alleanza sul territorio, ha abbandonato il M5s per entrare nel gruppo che sostiene Eugenio Giani, candidato dem alle regionali di maggio, in Campania rischia di esserci una rottura speculare ma opposta. “Qui c’è qualcuno che si è convinto di rappresentare la maggioranza solo perché rilascia più intervista sui giornali”, sbuffa il senatore casertano Agostino Santillo. “E invece da noi gli attivisti si sono già espressi settimane fa in un’altra assemblea in cui il 90 per cento dei nostri hanno detto di andare da soli. Ora basta”. Sennonché, però, Roberto Fico lavora ancora, d’intesa col ministro Peppe Provenzano e i vertici del Pd napoletani, per trovare un accordo, sostenuto da quasi tutti i parlamentari grillini e da un bel pezzo dei consiglieri regionali. Anche a costo di una forzatura, magari. “Così poi in tanti mi seguiranno”, se la ride Paola Nugnes, che del presidente della Camera è rimasta grande amica anche dopo essere uscita dal M5s finendo al gruppo Misto del Senato. “Magari a quel punto sarà Di Maio a dire che non ci sta, che quello non è più il suo M5s. Ma del resto, così come il Pd senza Renzi è migliorato, forse anche un M5s senza Di Maio sarebbe migliore”.