Responsabili chi?
Perché il piano di Conte (e del Pd) di sostituire Renzi al Senato forse è più difficile del previsto. Numeri e storie
Roma. Chissà se, come dicono nel Pd, il problema sta nell’eccessivo nervosismo di Rocco Casalino, che giovedì sera – di fronte a chi gli proponeva un futuro da giornalista semplice – rispondeva serafico che “ci sarà un Conte ter”. Sta di fatto che Giuseppe Conte ci ha pensato davvero allo scontro frontale con Matteo Renzi, a una conta immediata in Senato: “Così – si ragionava a Palazzo Chigi in quelle ore tribolate – a ‘quello là’ gli dimostriamo che possiamo fare a meno di lui”. Ma l’estasi è durata poco, subito svaporata nella prudenza di Dario Franceschini. “Anche perché se venisse a chiederci un sostegno politico in Aula – dice Andrea Causin – si accorgerebbe che molti dei presunti ‘responsabili’ lo considerano del tutto inconsistente, dal punto di vista politico”. Ed ecco, allora, che tutta la narrativa sui novelli Scilipoti, pronti a subentrare ai renziani in sostegno di Conte, crolla d’incanto.
E con essa viene giù anche l’illusione di chi sprona Conte alla pugna. Perché Causin rientra nel novero di quelli che sarebbero pronti a vendersi al premier, e invece frena: “Sarebbe un’operazione senza senso”. E così anche Gianfranco Rotondi, gran maestro del centrismo, ragiona sull’insensatezza di una prova di forza da parte di Conte in Aula: “Non gli conviene perché mancherebbe il respiro politico. Deve darsi tempo, magari iscriversi a titolo personale al Ppe come fece Mario Monti, e poi costruire il suo partito”. E forse è proprio quello, il tempo, che Renzi non è disposto a dargli, perché in quel centro in cui l’ex premier vuole mettere radici non può esserci l’ingombro dell’“avvocato del popolo”: e anche per questo, nei calcoli condivisi coi suoi interlocutori, ora accelera sulla tabella di marcia dello scontro: “Non più dopo le regionali di maggio, ma entro Pasqua”. Date comunque scritte sull’acqua.
Di certo c’è che la scelta di inserire il “lodo Conte bis” in un disegno di legge – quello sulla riforma del processo penale – che avrà un iter parlamentare assai lungo, testimonia dell’interesse del Pd a trasformare quella che sembrava una battaglia campale in una guerriglia a bassa intensità. “E poi, a quel punto, il Parlamento diventa sovrano”, diceva giorni fa, col tono di chi la sapeva lunga, il sottosegretario alla Giustizia dem Andrea Giorgis. La scommessa, insomma, è che nella maratona alle Camere il testo del “lodo” venga modificato. Fino ad arrivare, magari, a quel compromesso che anche per Italia viva sarebbe non più rifiutabile: e cioè la sospensione della prescrizione solo dopo l’appello. E allora Renzi già scarta, fa sapere che ora il martellamento sarà sull’economia. Anche perché “i tavoli di lavoro” gestiti da Conte a Palazzo Chigi in questi giorni “per rilanciare il programma” si stanno rivelando quel che si temeva fossero: qualcosa a metà tra un elenco di buone intenzioni e un brainstorming collettivo. E dunque il reddito di cittadinanza sarà il prossimo obiettivo, e insieme a quello magari anche le suggestioni grilline sull’acqua pubblica e le chiusure domenicali. Temi su cui, Renzi è convinto, anche il Pd dovrà andargli dietro: e non a caso a presentare il “Piano shock” sugli investimenti, il 20 febbraio, l’ex premier ha voluto la ministra Paola De Micheli.
Un logoramento che Conte vorrebbe senz’altro evitare. E di qui passa la sua tentazione dello “show down” al Senato. “Del resto anche i renziani sono spaventati, al momento giusto saranno loro i primi ad abbandonare il capo”, azzarda il sottosegretario grillino Gian Luca Castaldi. Anche se proprio quelli su cui aleggiano i sospetti maggiori, ieri hanno ripudiato qualsiasi tentennamento: “Non ho mai pensato di abbandonare il gruppo, come qualcuno maligna”, dice il senatore Giuseppe Cucca. Lo chiarisce anche nella chat di Iv, dove a rispondergli interviene Renzi in persona: “Tranquilli, ragazzi. A breve, anzi, verranno con noi nuovi parlamentari”. Altro che responsabili per Conte. “Il premier faccia bene i conti, perché chi come me non lo ha votato finora, non comincerà certo a votarlo adesso”, sentenzia Massimo Mallegni, altro senatore azzurro che rigetta le voci che lo vorrebbero “contiano”. “Io sono e resto un esponente di Forza Italia”, dice, “altro che Conte”. E insomma si spiega anche la cautela con cui Paolo Romani, vero regista del sedicente “gruppo dei responsabili”, indica possibili date future per il varo del nuovo gruppo a Palazzo Madama. “Difficile dire se sarà un vagito o un rantolo”, sorride coi parlamentari che lo interpellano, ai quali comunque ripete che “questo Conte è un grande bluff”, e semmai la nuova formazione potrebbe nascere per sostenere non questo premier, ma quello che potrebbe arrivare dopo. Una personalità in grado di tenere le redini di un governissimo, come Mario Draghi? Un esponente del Pd come Roberto Gualtieri? Difficile da dire. Sta di fatto che ieri, ai deputati grillini in ansia per le sorti del governo, i pontieri renziani parlavano di “una maggioranza allargata anche al Misto e a Forza Italia, per sopperire a eventuali defezioni del M5s”. E come premier, magari solo a titolo di esempio, facevano il nome di Enrico Giovannini.