Una lezione tennistica per la politica italiana
Per fare tregua o ravvivare il dispetto, Renzi e il Bisconte avrebbero bisogno di mettersi i calzoncini corti e vedersi su un campo da tennis
Matteo Renzi, con tutta la sua cortesia personale, dei miei consigli di moderazione nell’uso del potere di coalizione, cioè il far pesare cum grano salis quel tanto di numeri che sono indispensabili a una maggioranza e a un governo, non sa che farsene. E lo capisco. Niente risulta più petulante e anche odioso che il consiglio e lo sconsiglio di chi guarda dalla tribuna e poco sa degli arcani e dei trucchi energetici della lotta detta wrestling (copyright Claudio Cerasa). E siccome “beato il popolo che non ha bisogno di leader, ma di tennisti sì” (copyright Maurizio Crippa), ecco, ritiro gli inutili e fastidiosi consigli e faccio una proposta. Invece di vedersi a Palazzo Chigi, tra cacce al cinghiale e arazzi mica male, per fare tregua o ravvivare il dispetto, Renzi e il Bisconte si mettano in calzoncini corti e si incontrino su un campo da tennis (a loro la scelta tra sintetico, terra rossa, erba): giochino una partita di tennis.
Da un po’ dico in giro, e chissà, che gioco a tennis due ore al giorno. Certo sono diventato un tennisdipendente come tanti, e sono capace di restare ipnotizzato a guardare nel monitor o in tv decine di ore di game, set, tie break, back, lob, rovesci diagonali o lungolinea, servizi centrali o angolati di prima e di seconda, risposte e anticipi, volée, smash, passanti, net, nastro, dritti di tutti i tipi, e qui ho già quasi esaurito il mio lessico tennistico da autodidatta e da neofita. Ho appena creduto di capire che il tennis è un gioco nevrotico, mentale, in cui la concentrazione neuronale fa a gara con la distensione muscolare nel perseguimento di risultati utili. E qui c’è già una lezione per la politica, molto meno inutile dei miei consigli/sconsigli.
Matteo Codignola, nel suo notevole “Vite brevi di tennisti eminenti” (Adelphi) racconta fotograficamente il tennis di una volta, quello non professionale, quello snob e incantato delle flanelle, e i suoi profili di tennisti sono incantevoli. Anche qui c’è una bella lezione. Questo sport è asettico, maggioritario, il contrario del trasformismo e del proporzionale, non c’è pareggio (la partita perfetta del football, lo zero a zero, gli è perfettamente estranea: uno vince, uno perde, o di là o di qua). Ma di torneo in torneo i destini si intrecciano, il ranking (la classifica) si complica, e gli dèi o eroi del tennis sono spesso classi dirigenti che durano per una o due o tre generazioni, non si levano mai di torno, insistono e alla fine lasciano un ricordo incancellabile, la sconfitta di ciascuno dovuta al passare del tempo. Apparentemente è lo sport del fair play, amici come prima quale che sia l’esito, un solo incontro fisico alla rete per consuetudine alla fine del match. In realtà è un gioco di sottili solipsismi, che sono l’altra faccia del più spietato narcisismo, altro che fare squadra, dare una mano ai compagni, anche in doppio alla resa dei conti si è soli.
Renzi e il Bisconte vogliono fare punteggio, si sentono responsabili di squadre o lobby che hanno bisogno di resistere e contrattaccare ogni giorno, ma ai miei consigli e sconsigli in relazione al coalition power, saperlo usare in modo calibrato per Renzi e considerarlo con la dovuta attenzione per il Bisconte, si aggiunge un superconsiglio superpolitico di tipo tennistico. Lo ha raccolto nel suo libro Codignola, e dice di un giocatore originale e strano, il danese Torberg Ulrich, che giocava solo il pomeriggio, perché la sera amava far tardi, e in conferenza stampa una volta si sottrasse alla domanda sulla sua vittoria, che è sempre letteralmente ai punti, dicendo qualcosa di immortale che vale anche per il tatticismo nell’epoca benedetta del trasformismo come antidoto un po’ snobistico al grezzo populismo: “Ho vinto? Non saprei. Io ho giocato la mia partita, e mi sembra che, a un certo punto, lui abbia perso”.