Le responsabilità del contagio economico
La Borsa che crolla e i due volti dell’epidemia (non solo notizie negative). Il principio di precauzione dell’Italia è un unicum nel suo genere. Ma verrà esportato o verrà evitato? Spunti sulla crisi di panico
A guardare con attenzione le notizie raccolte nella giornata di ieri, e a volerle mettere in fila una dopo l’altra, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli, da disperarsi, da angosciarsi e da allontanare con vigore ogni tentativo irresponsabile di avere uno sguardo non apocalittico sul futuro del nostro paese. Le notizie sono quelle che sapete: in Italia, il numero di contagiati da coronavirus ha superato quota duecento, il numero di persone morte anche perché infettate da coronavirus è arrivato a quota sette, l’Oms ha espresso “preoccupazione” per la condizione del nostro paese, la Borsa italiana è crollata fino a meno sei per cento, il rendimento decennale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi è salito di dieci punti base, le regioni maggiormente colpite dalle severe misure di prevenzione disposte dalle autorità politiche per provare a contenere la diffusione del virus sono quelle che insieme totalizzano il 30 per cento del pil italiano, i rappresentanti delle imprese turistiche del nostro paese che da sole smuovono il 13 per cento del pil italiano registrano segnali drammatici per la nostra economia, paesi come Irlanda, Serbia, Montenegro, Croazia e Israele sconsigliano ai propri cittadini di viaggiare in Italia, altri paesi come le Mauritius mettono in quarantena gli italiani che arrivano sul loro territorio e questo piccolo e non esaustivo elenco di notizie dovrebbe sconsigliare di osservare il futuro e anche il presente con una lente di ingrandimento diversa rispetto a quella del pessimismo.
Eppure, nella tempesta di notizie negative, ci sono alcune notizie positive che meritano di essere isolate, e quelle notizie ci possono aiutare a riflettere intorno a quello che è il tema dei temi: ma il principio di precauzione adottato dall’Italia per contenere la diffusione del coronavirus rientra in una lungimirante strategia difensiva che verrà presto esportata in altri paesi europei o rientra invece in una preoccupante strategia masochistica che produrrà difficoltà economiche che si sarebbero potute evitare?
La notizia numero uno giunge dai ricercatori dell’Oms, che ieri sono arrivati alla conclusione che “in Cina la diffusione del coronavirus ha raggiunto il suo picco tra il 23 gennaio e il 2 febbraio”, che da quel momento in poi i contagi “hanno cominciato a diminuire in maniera consistente” e che “nonostante le speculazioni sul fatto che questa stia diventando una pandemia, al momento non si vede una diffusione tale da non essere contenuta” – il tasso di letalità del nuovo coronavirus è del 2,5 per cento circa, dunque otto volte più alto di quello dell’influenza, ma non essendoci certezza sul numero reale dei contagiati in Cina, che potrebbe essere un numero molto superiore, quella percentuale potrebbe essere in realtà una sovrastima”.
La notizia numero due arriva ancora dall’Oms, questa volta dal capo del programma di risposta alle emergenze, Michael Ryan, secondo il quale la maggior parte dei pazienti “contrae una forma molto lieve del virus” e l’influenza di solito “finisce in un paio di giorni, anche se c’è un numero significativo di persone, ben il 20 per cento dei pazienti, che si ammala in modo molto grave” – secondo le stime del Ministero della Salute e dell’Istituto superiore della sanità, in Italia ogni anno circa il 9 cento della popolazione è colpito da sindromi simil-influenzali, con un numero che oscilla tra i 300 e i 400 decessi diretti dovuti all’influenza, e tra i 4 mila e i 10 mila tra chi sviluppa complicanze gravi a causa dei virus influenzali.
La notizia numero tre è che Ilaria Capua potrebbe avere ragione quando dice che il numero così elevato di contagi nel nostro paese può derivare dal fatto che l’Italia ha diagnosticato di più e prima degli altri il coronavirus con un numero di test che non ha eguali negli altri paesi europei – per avere una misura, uno dei paesi europei ad aver fatto maggiori controlli è il Regno Unito, che dall’inizio della diffusione del coronavirus ha effettuato 6.324 test, trovando nove persone positive, ma si tratta di numeri del tutto sproporzionati rispetto a quelli dell’Italia, considerando, solo per citare un dato, che negli ultimi giorni l’Italia ne ha fatti 4 mila, che 250 controlli sono solo quelli fatti ogni giorno in un piccolo paese in Veneto di nome Vo’ Euganeo e che i 250 controlli fatti ogni giorno in questo paese corrispondono quasi al totale di controlli disponibile oggi in tutta la Francia, ovvero 400.
A queste notizie ne andrebbe aggiunta anche una più politica, che riguarda la capacità mostrata da diversi leader di partito di utilizzare un registro diverso rispetto a quello della tradizionale lotta antisistema e mai come in questi giorni è sembrato di vedere una Lega più adatta alle pratiche di governo, come quella che prova a guidare le regioni, e una adatta solo alla giusta ricerca degli hashtag, come quella rappresentata da Salvini, che è riuscito a farsi sottrarre nel giro di poche ore la patente della responsabilità dell’opposizione dal partito di Silvio Berlusconi e da quello di Giorgia Meloni.
Ma ciò su cui varrebbe forse la pena concentrarsi un istante – e su cui il nostro ottimismo tende a vacillare un po’ ma solo un po’ – riguarda la vera notizia che in questi giorni ha scatenato il panico, che ha portato il nostro paese al centro dell’attenzione mondiale e che ha contribuito a rafforzare l’immagine dell’Italia come grande malato d’Europa: le misure di prevenzione adottate dal nostro paese contro la diffusione del coronavirus. Chiudere gli stadi, chiudere le scuole, chiudere i musei, disincentivare i cittadini ad andare nei luoghi affollati (domanda: ma se il rischio contagio è così alto e il virus è asintomatico perché chiudere solo alcuni stadi, alcune scuole e alcuni musei?) è una scelta unica che ha contribuito ad alimentare il panico (chiedere ai supermercati del nord Italia) ma è una scelta che nessun paese al mondo ha portato avanti neppure laddove i contagi sono stati più o meno come quelli dell’Italia (in Corea del sud, dove i contagiati sono più di 800, misure severe come quelle italiane non sono state prese e anche in Giappone, che si trova più vicino alla Cina rispetto all’Italia e che ha avuto finora 146 contagiati, esclusi quelli della Diamond Princess, l’unica scuola chiusa in queste settimane è quella in cui un insegnante è risultato positivo al coronavirus e in quel caso la scuola è rimasta chiusa per due giorni).
Di fronte a un rischio pandemia (che però ancora non c’è) è difficile dire se il principio di precauzione adottato dall’Italia sia stato dettato più da una valutazione ponderata dei costi e dei benefici o più dalla volontà di non far correre alcun rischio (anche giudiziario) alle amministrazioni pubbliche e alle loro burocrazie. Di certo c’è che l’Italia oggi ha scelto di affrontare un problema serio in un modo abbastanza speciale e verrebbe da dire unico (come unica fu la scelta di essere l’unico paese a chiudere i voli da e per la Cina). E anche se c’è da augurarsi che il contagio non arrivi in modo così massiccio al resto dell’Europa (cosa che ieri i ministri della Salute di Spagna, Germania e Francia hanno detto però di aspettarsi) c’è da augurarsi che qualora questo dovesse capitare l’Italia venga considerata anche dagli altri paesi un esempio positivo e non uno negativo di come si protegge un paese da un virus influenzale evitando di farne circolare un altro e non meno pericoloso: quello economico.