Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il governo per contenere il coronavirus limita alcune libertà dei cittadini. Può farlo?

Rocco Todero

Con il decreto del 4 marzo Giuseppe Conte ha sospeso attività scolastiche, manifestazioni, eventi e spettacoli di qualsiasi natura. A che condizioni si rimane dentro i limiti imposti dalla legge e dalla Costituzione

Com’è oramai noto, la diffusione repentina del coronavirus ha costretto il governo ad adottare alcune misure restrittive delle libertà e dei diritti fondamentali dei cittadini. Da ultimo, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, l’esecutivo ha disposto in particolare:

- la chiusura delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado sino al 15 marzo;

- la sospensione di manifestazioni, eventi e spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro;

- la sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, ad eccezione delle gare svolte in assenza di pubblico;

- la sospensione di viaggi d’istruzione, iniziative di scambio o gemellaggio, visite guidate e uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.

 

 

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Il governo, inoltre, ha predisposto una serie di precauzioni, anch’esse limitative delle libertà personali, tra le quali meritano di essere ricordate:

A) la raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro;

 

B) l’obbligo per chiunque, a partire dal quattordicesimo giorno antecedente la data di pubblicazione del decreto, abbia fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico o sia transitato e abbia sostato nei comuni oggetto di focolaio del coronavirus, di comunicare tale circostanza al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio nonché al proprio medico di medicina generale ovvero al pediatra di libera scelta;

 

C) l’obbligo per le persone di cui alla lettera B) di stare in quarantena e di sottoporsi alle prescrizione delle autorità sanitarie, comprese il mantenimento dell’isolamento, il divieto di contatti sociali, l’obbligo di rimanere raggiungibile per essere sottoposto alla sorveglianza sanitaria.

  

La limitazione delle libertà fondamentali e l’interruzione di alcuni servizi di pubblica utilità non possono mai essere accettate a cuor leggero all’intento di un ordinamento liberal democratico, ma esistono parametri giuridici per verificare se il potere dello Stato sia stato esercitato nel pieno rispetto della Costituzione repubblicana che quelle libertà si preoccupa di tutelare.

 

Occorre innanzitutto procedere a verificare se il presidente del Consiglio dei ministri abbia potuto fare leva su un’espressa autorizzazione di legge per comprimere le libertà che ordinariamente non sono degradabili sino a questo punto da parte della pubblica amministrazione.

Ebbene, il capo del governo è stato autorizzato con un decreto legge, adottato in via d’urgenza, a mettere in campo tutte le misure necessaire a contrastare la diffusione del coronavirus.

 

La conversione del decreto legge da parte del Parlamento assicura sufficiente base legale, almeno da un punto di vista formale, alle imposizioni ordinate dal Presidente del Consiglio, ma lascia aperta una questione che al momento non è dato sapere come è stata affrontata dalle Camere. Il decreto legge indica un’elencazione di disposizioni limitative della libertà personale che possono essere adottate dal capo del governo, ma allo stesso tempo lo autorizza ad adottare  ogni  misura di  contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica.

La disposizione è troppo generica e abbandona il criterio della tassatività delle misure che l’amministrazione può adottare, su espressa autorizzazione del Parlamento, a scapito delle libertà fondamentali degli individui.

 

Superata, con il predetto caveat, la questione del rispetto del principio di legalità, occorre verificare se le limitazioni imposte col Dpcm possano trovare giustificazione nella necessità di tutelare un bene di rango costituzionale pari o persino superiore alle libertà fondamentali dei cittadini.

 

Non vi è dubbio che l’adozione delle misure restrittive delle libertà sia stata ordinata in vista della salvaguardia del bene della salute individuale e collettiva; non sussistono margini d’incertezza, peraltro, in ordine alla legittimità di un’azione della pubblica amministrazione che restringa le libertà personali per tutelare la salute dell’intera popolazione.

Si tratta, tuttavia, di una valutazione che pur essendo valida in astratto potrebbe non esserlo in concreto, perché le peculiarità del caso specifico richiedono l’applicazione del principio di proporzionalità, declinato sotto il triplice profilo della idoneità, della necessarietà e della proporzionalità in senso stretto.

Vediamo di cosa si tratta.

 

La misura limitativa della libertà personale deve essere idonea a raggiungere lo scopo prefissato, perché qualora non lo fosse sarebbe illegittimo comprimere inutilmente una libertà fondamentale.

Sotto questo particolare profilo il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 4 marzo delinea un espresso nesso di causalità fra le misure imposte e la speranza della riduzione della diffusione su tutto il territorio nazionale del coronavirus. Il provvedimento, tuttavia, su questo punto appare troppo generico e sfornito di un adeguato supporto scientifico, anche perché il richiamo alle indicazioni formulate dal Comitato tecnico scientifico non appare adeguato a fornire tutti gli elementi tecnici che permetterebbero di giudicare idonea la misura adottata.

 

Per quanto possa apparire paradossale l’idoneità delle misure previste dal Dpcm è sembrata emergere con maggiore chiarezza nel corso delle dichiarazioni che Giuseppe Conte ha rilasciato qualche minuto dopo la firma del provvedimento, allorché ha specificato che la necessità è quella di limitare la diffusione del virus, soprattutto per non sovraccaricare il sistema sanitario che rischierebbe di non reggere all’aumento esponenziale dei casi d’infezione.

 

Vale la pena ribadire, però, che in presenza di provvedimenti che dispongono una sensibile riduzione delle libertà personali il supporto scientifico in ordine alla idoneità delle misure adottate e un’adeguata motivazione risultano imprenscindibili.

Il rispetto del principio di proporzione passa, poi, dalla dimostrazione che le limitazioni delle libertà individuali siano necessarie perché insostituibili con mezzi meno gravosi. Si deve trattare, in altre parole, delle sole misure, fra quelle disponibili, adatte allo scopo.

 

Il Dpcm richiama sul punto “le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di più ambiti sul territorio nazionale” che “rendono necessarie misure volte a garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea”.

 

A dire il vero, anche sotto questo angolo prospettico sembrerebbero carenti, almeno per ciò che riguarda la motivazione espressa contenuta nel provvedimento, i riferimenti alla impossibilità di agire diversamente per ottenere il medesimo livello di tutela o di contenimento del rischio che si vorrebbero assicurare con la limitazione delle libertà fondamentali ordinata col Dpcm.

 

In ultimo occorre verificare se il provvedimento adottato dal governo non risulti, a conti fatti, troppo gravoso rispetto alla convenienza del risultato ottenibile (proporzionalità in senso stretto).

Ed è con particolare riguardo all’entità delle limitazioni imposte alle libertà individuali, che il provvedimento del capo dell’esecutivo non appare particolarmente draconiano, sia perché è stata fatta salva la possibilità di derogare a tutti i divieti imposti, purché si garantiscano in altro modo le misure di precauzione, sia perché le pubbliche amministrazioni sono state sollecitate ad organizzare, con modalità differenti dall’ordinario, e tuttavia facilmente praticabili,  l’erogazione dei servizi.

 

La norma di chiusura che limita l’efficacia dei provvedimenti adottati al 3 aprile 2020 (con l’eccezione della sospensione dell’attività scolastiche disposta sino al 15 marzo), assicura, infine, che l’eventuale proroga delle restrizioni alle libertà fondamentali dovrà passare necessariamente dalla riconsiderazione di tutti i presupposti di legittimità. In quell’occasione potrebbe raddrizzarsi ancora meglio il tiro.

Speriamo che non sia necessario.

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