L’emergenza economica generata dall’impatto del coronavirus sulle nostre vite – e dalle severe misure adottate da governi come quello italiano per tentare di contenere il più possibile la pandemia – ha avuto l’effetto di accendere una luce improvvisa su quelli che potremmo cinicamente definire i virus della nostra economia. L’Italia, lo sappiamo, subisce più di altri paesi gli effetti del coronavirus (ieri lo spread ha oscillato tra i 180 e i 190 punti base, la Borsa ha perso oltre il 3 per cento) per via di un’economia che di fronte a un’influenza pericolosa si comporta esattamente come le persone che si trovano avanti con l’età e con molti acciacchi alle spalle: difficoltà a gestire gli choc esterni (causa debito alto e produttività bassa) e difficoltà a riprendersi dopo un malanno (causa crescita bassa). Di fronte a una crisi che potrebbe però contagiare presto anche il resto d’Europa – quando il numero di casi registrati oggi in Italia verrà rilevato anche in Francia e Spagna è difficile pensare che i governi prenderanno provvedimenti diversi rispetto a quelli adottati dall’Italia – concentrarsi solo sui problemi ereditati dal passato da un singolo paese non è più sufficiente per inquadrare la dimensione della questione. E il problema vero di fronte a cui si trova oggi l’Europa non riguarda i limitati strumenti che ha in mano un singolo paese per curare un grave malanno ma riguarda gli strumenti che ha l’Europa per aiutare i paesi ammalati a superare alcune difficoltà.
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