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Super commissario? Nel Pd c'è chi vuole chiudere direttamente tutto

David Allegranti

L’ex presidente Orfini: “Il commissario è il premier”. Concorda Smeriglio. Articolo 1 dice no “allo Stato commissariato”

Roma. L’unità di crisi del Pd è operativa, nonostante la quarantena per Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Anna Ascani, Marco Furfaro e Stefano Vaccari, in sostanza metà dei vertici dei democratici. Le riunioni si fanno su Whatsapp e in videoconferenza (ieri una su lavoro ed economia) e c’è Dario Franceschini, capo delegazione del governo, a fare da raccordo fra le varie aree del partito. Tra i tanti argomenti ce n’è uno che ha segnato la giornata politica di ieri: il “super commissario” che dovrebbe occuparsi dell’emergenza coronavirus. A proporlo ufficialmente è stato il centrodestra a colloquio con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma anche Matteo Renzi è favorevole, ha detto in un’intervista. Il nome che circola è quello di Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile, vicino a Berlusconi. Il Pd ne ha parlato. Andrea Marcucci, capo dei senatori, si è detto possibilista (sul commissario, su Bertolaso invece non si pronuncia). Graziano Delrio, capo dei deputati, interpellato non risponde. Non è un momento semplice per il partito di Zingaretti, visto che qualsiasi parola fuori posto può seminare il panico in un governo già sufficientemente scricchiolante. Delrio preferisce essere ecumenico e da giorni ripete: “Tornerà il momento del confronto anche duro tra maggioranza e opposizione. Ora è quello dell’unità di intenti. Dialogo e collaborazione per vincere una durissima sfida”. E’ la linea condivisa da Franceschini. Ma quindi, il super commissario? “Mi pare una roba confusa”, dice al Foglio Matteo Orfini. “In queste condizioni il super commissario è il premier”. D’altronde, “hai premier, hai il capo della protezione civile. Semmai era più sensato chiudere tutto. Ipotesi che pure molti di noi sostengono”, dice ancora l’ex presidente del Pd al Foglio. “Quindici giorni di chiusura totale alla fine costano meno”. Uffici, fabbriche. Tutto chiuso per due settimane. “Lasci davvero solo le cose essenziali. Il virus è già ovunque. Quindi zona rossa per davvero ovunque”, sottolinea Orfini.

 

Poco convinto anche l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio: “Per ora è una funzione che di fatto deve svolgere il presidente del Consiglio”, dice al Foglio l’ex braccio destro di Zingaretti alla Regione Lazio. Anche alla sinistra del Pd l’ipotesi super commissario non piace. “Limitare socialità e mobilità non significa che lo Stato di eccezione di questi giorni si trasforma in Stato commissariato”, dice Arturo Scotto, coordinatore nazionale di Articolo 1. “Le decisioni le prende il governo eletto dal Parlamento, non un leviatano unto dal Signore, l’oggetto del desiderio evocato in queste ore da fuori e da dentro la maggioranza dalle destre di ogni ordine e grado, da un pezzo del sistema economico che vuole che il conto lo paghi sempre e solo il lavoro e da una parte rilevante della stampa che ha bisogno come il pane di riempire pagine di retroscena”.

 

C’è una questione non secondaria, infatti, e riguarda il ruolo di Conte. Un super commissario che effetto avrebbe sull’immagine del presidente del Consiglio? Non disarticolerebbe il rapporto fra Conte e la già disorientata pubblica opinione? Non sarebbe come avere due papi al governo della Chiesa? Le questioni si rincorrono. Un conto insomma sarebbe dotare l’Italia di una figura che può occuparsi a tempo pieno di coronavirus, un altro conto cercare un modo per logorare il presidente del Consiglio per interposto commissario: “Una cosa è gestire l’emergenza, altra cosa è approfittare dell’emergenza per imporre un altro modello di comando istituzionale. Chi in questi giorni sta proponendo questa formula dovrebbe avere il coraggio di dirlo apertamente. Se il coronavirus è la chiave per superare Conte e la maggioranza giallorossa meglio che si esca allo scoperto con una proposta, non con un’intervista”, dice Scotto.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.