La riscossa di Giggino Di Maio ai tempi del coronavirus
L’unico grillino che dice e fa qualcosa è quello che si era dimesso perché inadeguato
E’ la riscossa di Luigi Di Maio, di Giggino il dimissionario, del pibe de oro di Pomigliano d’Arco, insomma è la riscossa dell’unico cinque stelle talmente conscio della propria inadeguatezza da averci fatto la (mezza) grazia di un (mezzo) passo indietro. Il grillino dimesso si è infatti ri-immesso, e i grillini immessi è come se si fossero tutti dimessi. Hanno i lettori del Foglio, per esempio, mai sentito in questi giorni d’emergenza sanitaria ed economica, ora che i posti di lavoro sono a rischio e le aziende in difficoltà, una parola pronunciata dal ministro del Lavoro, la cinque stelle Nunzia Catalfo? No, probabilmente i lettori non sanno nemmeno che faccia abbia la signora Catalfo, anzi forse qualcuno l’avrà sentita nominare qui per la prima volta.
A riprova di quanto si diceva prima, ovvero che in questi giorni virali l’unico grillino sopravvissuto è lui: il Giggino ritrovato, che parla, straparla, comunica, organizza, tenta persino, nella notte più drammatica, quando l’Italia diventava tutta zona rossa, di rubare la scena al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, anticipandone, con una mossa di rapina, l’annuncio d’una quarantena nazionale. Zac!
Ieri addirittura comunicava di essersi messo d’accordo con la Cina per l’acquisto di mille ventilatori polmonari di cui gli ospedali italiani hanno urgente bisogno. Dunque Giggino della Patria, il Giggino necessario – l’ex leader il cui motto dopo le dimissione sarebbe potuto essere “dopo di me il diluvio? No, dopo di me una guerra battereologica”. E’ lui l’unico grillino non solo utile a qualcosa, ma pure politicamente sopravvissuto, l’unico rimasto intero in quello scatolone di nani da giardino finiti per sbaglio in Parlamento che va sotto il nome di Movimento 5 stelle.
La no-vax Paola Taverna, attualmente vicepresidente del Senato per combinazione cabarettistica, è per esempio ritornata in borgata, non dice più mezza parola, perché persino lei ha capito che non è più aria di urlare e di esporsi, come faceva un tempo, quando in base a competenze scientifiche si presume acquisite nel poliambulatorio in cui esercitava la professione di segretaria, spiegava che “i centri vaccinali sono similabili (?) a quelli dove si fanno i marchi pe’ e bestie!”. Scomparsa, causa coronavirus. Sui grillini è davvero sceso un oblio con pochi spiragli, quel nulla sintattico e rotondo che per esempio avvolge Vito Crimi, il capo politico del M5s che nessuno (nemmeno i suoi) ha il coraggio di chiamare “capo” e che semplicemente risulta non pervenuto in questa fase pur concitata della storia nazionale. Silenzi, eclissi, pasticci e autoaffondamenti come quello di Alfonso Bonafede, il ministro della Giustizia che ieri mattina, mezzo inebetito dagli eventi, relazionava il Parlamento sulle rivolte, le evasioni e i morti nelle carceri che in questi giorni hanno travolto il suo dicastero e il Dipartimento dell’amministrazione carceraria. Malgrado il pellicciaio com’è noto usi molte più pelli di volpe che d’asino, i grillini sono comunque finiti tutti impagliati. Anche il mitologico Dibba sembra fuori tempo, fuori sincrono, stordito. Pensava di tornare bello e flessuoso dall’Iran per parlarci ancora un po’ di Bibbiano e invece s’è trovato all’improvviso in un paese per lui misterioso, dove non le contorte ossessioni, ma la ragione e la coscienza paiono momentaneamente tornate a governare la vita pubblica di fronte alla tragedia e al contagio di quel coronavirus che lui qualche giorno fa aveva liquidato così: “Ne uccidono di più i fulmini”.
E così, alla fine, di quel potere che voleva instaurare un regime di analfabeti cronici l’unico sopravvissuto, l’unico che spicca, è Giggino. L’unico che, consapevole dei proprio limiti, si era dimesso due mesi fa.