Roma. Certe volte, più del sostegno degli alleati, conta la non ostilità dei nemici. E così, quando venerdì scorso hanno sentito dire dal lettone Valdis Dombrovskis che sì, “la Commissione è pronta ad attivare la clausola di fuga”, i ministri Enzo Amendola e Roberto Gualtieri hanno tirato un sospiro di sollievo. “Forse”, si sono rincuorati, “l’aria sta cambiando davvero”. Non sarebbe, certo, la soluzione definitiva. Ma quello strumento evocato dal vicepresidente della commissione di Bruxelles, capofila dei falchi del rigore, potrebbe creare le premesse per cercarla, una soluzione. Perché, di fatto, quella “escape clause” è stata inserita nei Trattati proprio per evitare un avvitamento pro-ciclico in caso di recessione all’interno dell’eurozona: consente agli stati membri di sospendere il percorso di aggiustamento rispetto agli obiettivi di medio termine concordati con la Commissione. In sostanza, una sorta di congelamento del Fiscal compact per un anno. Tempo che, nell’ottica di Palazzo Chigi, potrebbe servire non solo a superare l’emergenza del coronavirus (affrontata lunedì dal decreto licenziato dal Cdm a Roma e dall’Eurogruppo a Bruxelles), ma anche per intavolare una discussione vera sulla tribolata revisione del Patto di stabilità.
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