Non è forse ancora il “cigno nero”, non è forse ancora la fine del mondo, non è forse ancora l’asteroide che ci spazzerà via dalla terra, ok. Ma quando ieri mattina – poche ore prima che arrivasse il solito e tragico bollettino della Protezione civile, solo ieri 475 morti, per un totale di 2.978 decessi – i rendimenti dei titoli di stato italiani, quelli a dieci anni, hanno superato quota 3 per cento e quando lo spread fra i nostri titoli e quelli tedeschi ha superato quota 320 l’immagine della tempesta perfetta si è nuovamente manifestata di fronte ai nostri occhi, in modo chiaro: l’emergenza sanitaria che si somma all’emergenza economica che si somma all’emergenza finanziaria. Poi, per fortuna, lo spread, anche grazie alla Bce, è tornato a calare sotto i 300 punti, i rendimenti dei titoli sono tornati sotto i livelli di guardia, e sotto quota 3 per cento, ma nonostante questo l’Italia ormai da settimane si è resa conto di vivere una nuova normalità all’interno della quale i suoi cittadini, oltre che contare le vittime del virus, devono contare anche i danni prodotti da un paese bloccato. E mentre sei lì a osservare l’economia che collassa (oggi sua altezza Guido Tabellini scrive sul Foglio che la decrescita dell’Eurozona nel 2020 è compresa tra una forbice ottimista del meno 2 per cento e una pessimistica del meno 10) ti rendi conto che il mondo sta sbattendo di fronte agli osservatori due verità politiche difficili da negare.
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