Carnevale di Viareggio (LaPresse)

Non basta Mattarella

Unità nazionale mica tanto. La Lega non la vuole e Di Maio fa l'anti premier

Valerio Valentini

Salvini boicotta la collaborazione con il governo mentre i grillini assediano Conte che si gioca tutto nel negoziato Ue sul Mes. Anche Renzi balla da solo

Roma. Che fosse destinata a sbriciolarsi presto, quella parvenza d’intesa, Antono Tajani e Giorgia Meloni l’avevano indovinato già durante l’incontro di lunedì sera: quando Giuseppe Conte, nonostante Matteo Salvini gli si fosse seduto davanti, ogni volta che doveva rispondere al leader della Lega rivolgeva il suo sguardo altrove, in una scena un po’ imbarazzante. Per cui non si sono sorpresi più di tanto nel sapere che Salvini, uscito da quel vertice che negli auspici dichiarati di tutti doveva segnare l’inizio di un confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione, aveva subito sabotato sul nascere quell’accordo per cui aveva scomodato perfino il Quirinale: “No al Mes sotto qualunque forma”, ha sentenziato il leghista. E lo ha fatto nello stesso istante in cui lo stato maggiore del M5s si tormentava proprio sullo stesso tema, nel corso di una tribolata videconferenza convocata dal reggente per caso Vito Crimi. Il quale, sorretto a sua volta dai sottosegretari Castelli e Villarosa, comunicava a una manciata dei suoi parlamentari quel che anche Luigi Di Maio ha poi chiarito, e cioè che di Mes è bene non parlare. “Del resto Conte intende una cosa diversa, dal Fondo salva stati così com’è”, hanno concordato i grillini in collegamento, aggiungendo che “altrimenti per noi non esiste”. E certo è solo una spia, quello del Mes. Ma è una spia eloquente: perché, se è vero che gran parte del futuro politico di Conte dipenderà dalla sua capacità di condurre in porto una trattativa complicata sui nuovi parametri economici a livello europeo, allora è evidente perché in questo né Di Maio né tanto meno Salvini sono disposti a concedere nulla a quello che entrambi, per motivi diversi, considerano un rivale. E poi c’è l’altra urgenza da risolvere, quella della lotta all’epidemia: e neppure qui la condivisione di vedute sembra scontata. Anzi, nel dialogo con le regioni, specie quelle guidate dal centrodestra e più martoriate dal virus, le tensioni potrebbero perfino crescere, dal momento che il decreto emergenziale licenziato ieri dal Cdm restringe ancor più la libertà d’azione e l’autonomia dei governatori (senza chiarire davvero – e sarà altro motivo di scontro – cosa succederebbe qualora una regione reiterasse disposizioni e direttive locali oltre la scadenza dei sette giorni fissata ieri da Palazzo Chigi come termine massimo di validità per le norme regionali).

 

E sarà una coincidenza, ma per la prima volta dall’inizio della crisi, anche il Pd lancia dei segnali d’insofferenza nei confronti della gestione di Conte. Lo fa criticando apertamente le strategie comunicative di Casalino, e passi. Ma lo fa, per voce del responsabile nazionale dell’Organizzazione Stefano Vaccari, anche per censurare il protagonismo mediatico del capo della Protezione civile (la più unitaria delle istituzioni, in teoria) Angelo Borrelli. Ed è così che pure gli appelli che arrivano sia da Goffredo Bettini sia da Andrea Marcucci, affinché si istituisca un “tavolo permanente anche con le opposizioni”, sembrano avvertimenti diretti in egual misura ai leader di centrodestra e allo stesso Conte: perché facciano, tutti, un gesto di distensione. Anche per questo, dopo che per giorni quella di Matteo Renzi era stata una voce clamante nel deserto, pure dal Nazareno è arrivata la richiesta di ridare centralità al Parlamento. A partire, cioè, dalla conversione del decreto “Cresci Italia”, quello che il ministro dell’Economia Gualtieri ieri ha provato a blindare dicendo che “il margine di lavoro delle Camere è limitato dal fatto che abbiamo utilizzato tutto il margine di spesa autorizzato”. Allora il renziano Luigi Marattin ha suggerito di destinare alle partite Iva i 3 miliardi previsti nelle scorsa manovra per il taglio del cuneo fiscale. E’ sembrata un’eresia, al Pd, anche perché prefigurava un asse tra Iv e il centrodestra. Solo che poi anche il dem Tommaso Nannicini ha fatto una proposta analoga: “Perché non ripensiamo la legge di Bilancio, visto che è cambiato lo scenario?”. Al che, a Renzi, è venuto in mente che se non si vuole toccare il cuneo, si può tagliare quota 100. Ma anche in quel caso, di unità ce ne sarebbe ben poca.