Conte a caccia della manina
Il premier s'è deciso a sporgere denuncia in procura per individuare chi è stato a far circolare anzitempo la bozza del decreto del 7 marzo scorso
Siccome le liturgie della politica vanno rispettate, ecco che anche stavolta è ripartita la caccia alla manina. Del resto non c'è stata crisi, più o meno tragica, di questa scombiccherata legislatura, che non abbia contemplato la ricerca di un anonimo colpevole di fughe di notizie o modifiche malandrine sugli atti del governo. E così, in un paese che sa sempre colorare di farsa i suoi momenti più drammatici, ecco che Giuseppe Conte s'è deciso a sporgere denuncia in procura per individuare chi sia lo scriteriato responsabile che ha fatto circolare anzitempo la bozza del decreto sulla cosiddetta "zona arancione": quello, cioè, del 7 marzo scorso, che di fatto restrinse le libertà di movimento in buona parte della Lombardia e in altre province tra il Veneto, l'Emilia e le Marche.
Che il presidente del Consiglio avesse intenzione di "andare fino in fondo", nella ricerca delle responsabilità di quella "improvvida anticipazione ai media", lo si era capito già da qualche giorno. Questa, infatti, era l'impressione maturata anche tra i suoi più stretti collaboratori. La conferma che procederà per le vie legali, poi, è arrivata lunedì sera, durante il vertice convocato a Palazzo Chigi dallo stesso premier, su sollecitazione del Quirinale, per incontrare i leader dell'opposizione di centrodestra. È stato in quella sede che Giorgia Meloni, racconta chi c'era, ha incalzato Conte per chiedergli se avesse cercato di capire, anche attraverso il ricorso ai servizi d'intelligence, chi e come avesse fatto circolare la famosa bozza del 7 marzo. Un atto politicamente rilevante, anche ai fini della sicurezza nazionale, dal momento che proprio a seguito di quella fuga di notizia molti cittadini residenti in Lombardia si sono precipitati alle stazioni ferroviarie per tornare nelle loro terre d'origine al sud, contribuendo così a diffondere il coronavirus anche nel Mezzogiorno. Ed è stato lì che Conte, barcamenandosi dapprima su giustificazioni di circostanza, da sotto la sua mascherina protettiva ha poi spiegato che ha penato a un altro modo per accertare le responsabilità della fuga di notizie: "Sporgere denuncia in procura, visto che ci sono ancora i termini per farlo".
Scelta a cui il premier si è risolto, per sua stessa ammissione, non senza un certo travaglio. Dal momento che, a ricevere preventivamente la bozza di quel decreto, così da poterla analizzare e fare le osservazioni del caso, erano stati esclusivamente "organi istituzionali": e cioè i ministeri, le regioni interessate, e gli uffici di Palazzo Chigi. E dunque, adire le vie legali, rischia di aprire un conflitto dai delicati risvolti politici. Perché che sia stata la giunta lombarda di Attilio Fontana, o magari gli staff di qualche ministro grillino o dello stesso premier, in ogni caso tutte le ricostruzioni ufficiose e le indiscrezioni circolate nelle scorse settimane intorno a quel pasticcio mediatico presupporrebbero uno scontro frontale tra il premier e uno dei rappresentanti istituzionali che in queste settimane sta lottando con lui nella battaglia contro il Covid-19. Un capo del governo, insomma, che nel bel mezzo della peggiore crisi epidemiologica della storia repubblicana si mette alla ricerca di una "talpa" tra le istituzioni del paese. Il che, quand'anche non fosse ridicolo, sarebbe comunque imbarazzante.
Tuttavia, è proprio in virtù del timore di nuove fughe di notizie che Conte ha giustificato la sua diretta Facebook nella tarda serata di sabato sera. Quando Salvini, Tajani e Meloni gli hanno rimproverato quella sgrammaticatura istituzionale, il premier s'è difeso proprio così, lunedì, dicendo cioè che ha preferito essere lui a dare notizia della imminente chiusura delle attività commerciali non essenziali per evitare che si riproponesse un analogo caos comunicativo con circolazioni di bozze provvisorie. Pur di anticipare la manina, dunque, meglio andare in onda sui propri canali social.