“Non trasformiamo il reddito di emergenza in un fondo strutturale”, ci dice Baretta
Ecco la road map del Mef. Garantire la liquidità e iniziare a pianificare la riapertura. Parla il sottosegretario dell’Economia
Roma. In uno sbuffo che è un po’ una confessione, Pier Paolo Baretta dice che “l’emergenza è tale per tutti, anche per il governo”. Lo dice, il sottosegretario dell’Economia, come a chiedere, se non clemenza, quanto meno comprensione: “Sì, in tempi normali sarebbe più saggio fare un unico intervento, organico”. Ma siccome non è dato scegliersi i tempi in cui governare, “e siccome questo virus ha un’evoluzione imprevedibile”, ecco che per Baretta “ha una sua logica lavorare per aggiustamenti progressivi”. Il prossimo, allora, sarà “un provvedimento ad hoc per garantire la liquidità a imprese e famiglie, resosi necessario perché la stretta è stata più precoce e più grave del previsto, e dunque non possiamo attendere metà aprile”. Quando, invece, ci sarà il nuovo decreto. Chiamato “Aprile”, appunto, pure quello a dare il senso della precarietà del tutto. “Con quel decreto bisognerà, tra le altre cose, dare una garanzia a chi ora non ce l’ha”. E’ il reddito d’emergenza, quello per il quale il ministro del Lavoro Catalfo chiede tre miliardi, stimando una platea potenziale di circa tre milioni di persone. “Sulle cifre esatte si lavorerà nelle prossime ore. Quel che è certo è che si tratterà di una platea di beneficiari che hanno un problema semplice e brutale: l’esistenza. E dunque gli andrà assicurato un sostegno. Parliamo di colf, badanti e tirocinanti; e poi di stagionali e lavoratori nel settore del turismo a cui scade la Naspi. Tutte categorie finora non tutelate dal reddito di cittadinanza, e neppure coperte dal Cura Italia”. E poi ovviamente ci sono i lavoratori in nero. Col rischio, che per Beppe Grillo e i suoi è piuttosto una tentazione, di trasformare questo fondo emergenziale in un “reddito a vita”. “Mi auguro che nessuno pensi di rendere strutturale questa misura”, risponde allora Baretta.
“Perché queste persone – dice il sottosegretario del Pd – vanno rimesse il prima possibile in condizione di tornare a lavorare”. Pianificando dunque una riapertura delle attività? “E’ un problema che dobbiamo cominciare a porci, è indubbio. Certo, a dirci quando sarà possibile farlo in sicurezza dovrà essere il Comitato scientifico, le cui analisi viaggiano su un binario diverso da quello dei decreti economici. Però spero che si cominci presto a ragionare su come accompagnare, anche con provvedimenti fiscali, una riapertura scaglionata e selettiva”.
Prima, però, ci sarà da affrontare il tema della liquidità. “Su cui interverremo già all’inizio della prossima settimana, con una serie di misure che, nel complesso, porteranno a 550 miliardi la somma mobilitata dallo stato. Fondamentale sarà, in questo senso, introdurre delle garanzie pubbliche sui prestiti che le banche dovranno concedere alle imprese, piccole e grandi. E io sarei per una soglia unica di garanzia del 90 per cento, senza impantanarci in scaglioni e paletti che rischiano di compromettere un obiettivo primario: la rapidità d’intervento”. E poi c’è la garanzia sul credito fino al 25 per cento sul fatturato dell’anno passato, con un percorso di rientro in dieci anni? “Maneggerei con cautela le cifre, ancora per qualche ora. Però sì, l’orizzonte verso cui ci muoviamo è proprio quello. Le condizioni dovranno ovviamente essere agevolate, e il percorso di restituzione quanto più lungo possibile, per evitare che la morsa azzoppi la ripartenza delle imprese”. In nome della quale si proverà ad attingere anche al risparmio dei cittadini? Il viceministro Misiani ha parlato di 1.400 miliardi fermi sui conti correnti. Dobbiamo preoccuparci? “No, nessun prelievo forzoso. E nessuna patrimoniale, tanto per capirci. L’idea, ambiziosa, è semmai quella di una mobilitazione di massa dell’intero paese, ma in forme assolutamente volontarie”. Con dei “Btp speciali” a lunga scadenza? “Proveremo ad attrarre il risparmio in canali d’investimento virtuosi e con garanzie rafforzate. Ma è un discorso di prospettiva, questo, ancora in evoluzione”.
Infine, l’Europa. “Con cui troppo spesso ci lamentiamo invocando la possibilità di fare più debito. Ma non è certo questo, il punto. A fare debito siamo già bravi da soli. Il punto, ora, è semmai trovare degli strumenti collettivi per la affrontare la crisi sanitaria e le sue conseguenze economiche. L’intransigenza del governo italiano, insieme al riposizionamento della Francia sul nostro fronte, ha innescato un dibattito reale. Il fondo per la disoccupazione ‘Sure’ è il primo risultato, e io confido che anche i Coronabond potranno esserlo. Quanto al Mes, così com’è non serve affatto a innescare la ripartenza economica, per cui non ci interessa”.